Pioveva, ma il lago era fermo, eppure le voci ondulavano
La 60^ edizione del Festival Pucciniano si è aperto con un’ora di ritardo causa pioggia il 25 luglio 2014 con Madama Butterfly che compiva 110 anni.
In Madama Butterfly il sentimento, scevro da sentimentalismo, si esprime con una varietà di disegni strumentali e vocali mai sentiti prima di Puccini e l’originalità sta proprio nella ricchezza di sonorità cangianti e allusive che riescono a creare una sorta di osmosi tra personaggio e luogo scenico. Perciò occorrono grandi interpreti e bravi cantanti, che la sera del 25 luglio non c’erano al lago di Massaciuccoli.
Al debutto nel ruolo di Pinkerton, il giovane tenore del Kosovo Rame Lahaj ha esibito voce piccola e leggera, che ha usato di forza, ottenendo un canto tirato e lanciato e acuti chiari e ondulanti.
Anche Giovanni Meoni (Sharpless) ha evidenziato voce poco ferma in zona acuta, ma chi ballava più di tutti e su tutta la linea era il soprano Micaela Carosi nel ruolo di Cio-Cio-San. Il forte e costante vibrato era davvero disturbante e non era compensato neanche da una corretta linea di canto, perché il soprano passava dalla flebilità del canto a fior di labbra e del canto di conversazione alle esplosioni acute dove emergeva il bel colore vocale, il fraseggio era consapevole, ma inutilmente abbiamo atteso il brivido nella nota melodia “Un bel dì vedremo”, abbiamo udito solo suoni impercettibili, singhiozzi, sbalzi, ondeggiamenti, parole incomprensibili. Situazione imbarazzante per un’opera di conversazione.
Renata Lamanda (Suzuki) mi è sembrata più un soprano che chiude il suono nei gravi per fare il mezzo.
Chi si è fatto sentire e ben capire è il tenore Luca Casalin nelle vesti di Goro. Nei ruoli di contorno annoveriamo: Paolo Battaglia un rozzo zio Bonzo, Francesca Romana Tiddi Kate Pinkerton, il bravo Angelo Nardinocchi principe Yamadori, Pedro Carrillo commissario imperiale, Velthur Tognoni ufficiale del registro.
Il clima dell’opera, comunque, più che dai personaggi, esce dalla musica: nel primo atto i suoni orchestrali sono morbidi, l’esotismo è evocato dalla tavolozza ritmica ed armonica di colorata varietà per la descrizione dei luoghi e dei personaggi minori, nel secondo il tessuto sonoro è pervaso da una musica armoniosa, è sospeso a un filo di seta per la lettura della lettera, è coinvolgente e penetrante fin dalle prime note del coro a bocca chiusa, nel terzo atto la musica è ricca di colori, di paesaggi, di atmosfere, si passa dalla leggerezza delle volatine dei violini con dissolvenza del suono a densità sonore più calde fino alla drammaticità del finale con sonorità alte ed ossessionanti.
E l’orchestra del Festival Puccini, diretta dal M.° Josè Miguel Perez Sierra, mi è piaciuta, un’orchestra rifinita e delicata che sviluppa i temi e le cellule melodiche di questa musica ricca ed affascinante e di grandissimo spessore sinfonico, che è una perfezione d’estasi nella lettura della lettera, un’oasi di sogno nel Coro a bocca chiusa (eseguito molto delicatamente dal bravo Coro del Festival preparato dal M.° Stefano Visconti), un turbamento interiore nella bruciante comunicativa della melodia.
Mi è piaciuto anche l’allestimento pulito, leggero, decorativo, esotico di Renzo Giacchieri, autore di scene, costumi, regia e luci dello spettacolo.
Una lunga passerella in legno e casetta nel primo atto, pannelli dipinti nel fondale nel secondo, ombrellini e bellissimi chimoni colorati, bianco, come gli abiti degli americani, e anche rosa e nero per la protagonista, nero per Suzuki. Belli gli effetti luce e l’enorme luna sui dialoghi d’amore. Un Oriente da cartolina. Regia classica, controllata, con i segni delle due culture senza eccessi. Light designer Valerio Alfieri.
Pieno il teatro open air sul lago. Pubblico competente che attendeva l’ultima battuta per applaudire.