Ho assistito soltanto a due opere quest’anno al R.O.F.: Armida di cui ho apprezzato soprattutto l’allestimento e Aureliano in Palmira che mi è piaciuta maggiormente per la musica e le voci.
Armida
Grande opera seria di Rossini su libretto di Giovanni Schmidt, ispirata al personaggio e alle vicende della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
(Adriatic Arena, 10 agosto 2014 première e apertura del festival)
L’Armida dei Pupi
In Armida l’idea registica di Luca Ronconi, volta, secondo me, a far emergere il contrasto tra la contemplazione estatica del “magico” e la lotta tra i poteri del male e del bene, si è magnificamente attuata nelle accattivanti scene di Margherita Palli, nel contrasto cromatico e stilistico dei ricchi e fantasiosi costumi di Giovanna Buzzi e delle luci di A. J. Weissbard, nella particolarità dei movimenti coreografici curati da Michele Abbondanza, in contrasto con l’immobilità dei personaggi presentati come figurine di un album di favole dentro delle teche o su pedane mobili. Il lavoro d’équipe ha creato uno spettacolo fantasioso e molto suggestivo.
Scena in piena luce con paladini in carne ed ossa accanto a due alte teche con pupi guerrieri appesi, tipo pupi siciliani, tutti con scudo, elmo e corazza e abbigliati in rosso, oro e argento, per il campo cristiano vicino a Gerusalemme. Scena ferrigna per “l’inospite lito” dell’orrida selva su un’isola del regno di Armida abitata da una nera orda di diavoli pipistrelli, tra cui un inquietante Astarotte presentato dentro una teca scorrevole, seguita da una seconda teca con una visione aerea incantevole, perché la maga ha trasformato la selva in un magnifico palazzo: introdotti da una musica melodiosa, Rinaldo con benda trasparente agli occhi e Armida amoreggiano estasiati su una nuvoletta sospesa a forma di divano dalle rotondità barocche, finché la scena non si movimenta con l’arrivo di paladini che emergono dal pavimento, di scintillanti ninfe biancovestite (sempre coi demoni in agguato) per una danza sensuale e ancora danzatori a dorso nudo e danzatrici luccicanti con abiti dorati trasparenti che lasciano intravedere il tanga. Immagini e scene di battaglia in controluce su uno schermo trasparente disegnano magnifiche figure dalle linee morbide, che poi lacerando lo schermo irrompono in palcoscenico per le danze su una musica bucolica addolcita dalle voci della viola, del corno e dell’arpa, corpi che si allineano e s’intrecciano in una danza sfrenata di stile moderno dentro una luce dorata. La boscaglia è un ramoscello d’oro dentro una teca. Cupido, impersonato da un bambino, esce dal pavimento e alla fine ad Armida spuntano le ali per uscire di scena.
Sul piano musicale e vocale condivido l’idea di stravaganza che si fecero gli ascoltatori dell’11 novembre 1817, quando l’opera debuttò al Teatro San Carlo di Napoli, per la presenza di un solo ruolo femminile, uno di basso e di ben quattro tenori con tessitura uniforme (all’inizio erano sette, ma poi tre si sono accollati il doppio ruolo), e per l’ampio terzetto dei tre tenori (Rinaldo-Carlo-Ubaldo) alla fine dell’atto terzo, un unicum nella storia del melodramma. Anche l’architettura dell’opera è particolare perché è costituita di molte parti d’insieme (duetti, terzetti, quartetti, cori, concertati, danze), un solo pezzo chiuso riservato a Gernando nel primo atto “Non soffrirò l’offesa”, Rinaldo non ha neanche un’aria, Armida ha una grande aria con variazioni del secondo atto “D’amore al dolce impero” con coro e danze, inoltre la musica non è particolarmente accattivante.
Nell’Adriatic arena, non stracolma e luogo non ideale per l’opera, si spande la variegata ouverture dell’Armida che si apre con un maestoso tema di marcia funebre scandita dal lungo disegno cadenzato e morbido del corno, il clima lugubre si dissolve nel frizzo del tutto orchestrale, rischiarato dai pizzicati dei violini e dalla voce argentina del flauto; sopra le note fitte e ribattute del corno si sviluppa un tema musicale leggiadro in crescendo nei tempi e nelle sonorità e con i guizzi dell’ottavino.
Costante la presenza solista del corno in corso d’opera, provvidenziale contro la noia l’esplosione dei tipici concertati in crescendo con gli archi velocissimi che ci riportano al clima rossiniano.
L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna guidata da Carlo Rizzi, non sempre rispettosa delle voci, ha subito coperto il tenore Randall Bills al suo ingresso, è stata fracassona nei finali costringendo i cantanti a gridare nei concertati, ma ha ben accompagnato le danze e disegnato gli umori dei personaggi e il clima delle situazioni.
Randall Bills vestito da paladino con gonnellino, corazza, cimiero con piume, nel duplice ruolo di Goffredo di Buglione, capo dei crociati, e Ubaldo guerriero cristiano, è un tenore chiaro contraltino, abile nel canto sbalzato, che è migliorato in corso d’opera, evidenziando buona gestione del fiato in ogni registro, buoni gravi, facilità a salire ai sovracuti, a parte una stecchina iniziale, emissione sicura con qualche oscillazione del suono, accento incisivo.
La poderosa e cavernosa voce di basso, ampia e sonora, di Carlo Lepore è quel che ci vuole per Idraote, re di Damasco dotato di poteri magici, e per il demone Astarotte, nere figure inquietanti con gigantesche ali di pipistrello. In mezzo alle voci chiare dei tenori ci porta in un’altra dimensione di spessore e di densità cromatica.
Armida è una maga seducente che tiene prigioniero Rinaldo nel palazzo incantato. Il soprano Carmen Romeu (con un magnifico abito nero con sbuffo posteriore azzurro, poi abito rosso) ha avuto coraggio ad affrontare un ruolo così lungo e difficile, che richiede grande spessore vocale e agilità mostruose, Rossini l’aveva composto per la Colbran. La Romeu, pur avendo una bella apertura vocale, voce estesa e colore denso nel registro medio, non ha tanto spessore specialmente nella tessitura grave, sfoga in acuto e si trova a suo agio nel canto di furore, esegue abbastanza bene il canto di coloratura anche se con qualche imprecisione nelle agilità. Nel complesso è stata brava ed ha saputo modulare la voce nei duetti d’amore; deve maturare, è vero, ma non meritava la contestazione del pubblico.
Il tenore contraltino Antonino Siragusa interpreta il paladino italiano Rinaldo che diventa capo dei paladini dopo la morte di Dudone, suscitando l’invidia di Gernando, paladino franco che cadrà trafitto da Rinaldo al termine del primo atto. Siragusa canta molto bene, con dizione chiara e fraseggio appropriato, la voce tendenzialmente un po’ aspra si addolcisce nel canto morbido e a mezza voce dei duetti con Armida, estesissima e sicura, piena anche nella zona acutissima, svetta in acuti solidi e sovracuti siderali, emergendo nel terzetto dei tenori, l’emissione è sempre curata anche nelle fitte agilità del canto di coloratura.
Il tenore Dmitry Korchak, nel duplice ruolo di Gernando e del guerriero cristiano Carlo nel terzo atto, ha voce aspra estesa e poco ferma (Non soffrirò l’offesa).
Vassilis Kavayas (Eustazio, fratello di Goffredo) è un tenore leggerino.
Importante la presenza del coro del Teatro Comunale di Bologna, che ha dato prova di buone capacità attoriali e vocali, ben preparato da Andrea Faidutti e delle danze eseguite dall’Ensemble di danza Compagnia Abbondanza/Bertoni.