“Non sarà una serata convenzionale” recitava la locandina di “Dignità Autonome di Prostituzione”, ed è andata davvero così. Lo spettacolo iniziava ancora prima di avere il biglietto, ancora prima di entrare in Teatro. Dalle vetrate del Teatro Colosseo, che si affaccia su una delle strade più affollate di Torino, belle signore poco vestite ammiccavano ai passanti ed ai curiosi, imitando le prostitute di alcune zone a luci rosse di Parigi, Londra, Amsterdam mentre sulle porte signori elegantemente vestiti invitavano, esattamente come succede in quelle zone hard, ad entrare e “provare” quelle ragazze. Insieme al biglietto venivano date banconote false che sarebbero servite, ci è stato spiegato, a pagare le prestazioni artistiche degli attori che avremmo scelto. L’interno del Teatro era stato sconvolto: le poltroncine rimosse o spostate per creare un grande spazio centrale di fronte al palco creando di fatto più luoghi ed obbligando la quasi totalità degli spettatori a sedere per terra. Disagio poco sentito perché si era costretti a muoversi per il teatro, in luoghi e stanze di solito mai adibite a recite. Appena entrati nella grande hall siamo stati accolti da canzoni e balli molto ironici, come i vestiti e le allusioni sessuali usate provocatoriamente. Ci è stato spiegato che il luogo dove ci trovavamo aveva le stesse regole di un antico bordello, dove prostitute e prostituti si esibivano e cercavano di farsi scegliere dai clienti per una “prestazione a pagamento”, mentre la tenutaria, in questo caso l’ideatore e regista Luciano Melchionna (da tutti chiamato “Papi”) teneva tutto sotto controllo: clienti, trattative ed esibizioni. Dopo un primo momento di smarrimento tutti abbiamo iniziato a cercare la nostra/il nostro prostituta/prostituto e così si vedevano gruppi che seguivano attori o attrici in stanze appartate. Una volta dentro la stanza “l’artista in vendita” iniziava la trattativa indirizzata ad avere più soldi possibile mentre i “clienti” cercavano di ridurre le richieste. Tutto era molto credibile e divertente, ed alla fine di ogni esibizione (tutte molto intense e recitate benissimo) il pubblico aveva sempre la sensazione di avere pagato troppo poco. Personalmente ho visto cinque esibizioni che spaziavano dalle confessioni di un aspirante suicida alla messa in scena di un testo del 1914 sulla scuola, scritto da Papini, di una attualità impressionante, per passare alle memorie di un’attrice dentro un manicomio, davanti una improbabile talent scout e per finire con una maniaca dell’ordine che apostrofava i suoi clienti. Ad ogni cambio di prestazione si tornava nella sala centrale e qui ci si poteva rifornire di denaro fresco se si era speso tutto in cambio di denaro vero, e si tornava a scegliere con chi appartarsi. Al termine c’è stata la festa, con musiche, canti ed esibizioni di vario tipo. Il livello qualitativo è sempre stato molto alto, così come il coinvolgimento del pubblico, impegnato per più di quattro ore ma che “volentieri avrebbe ancora giocato”. Il concetto “prostituzione” o “mettersi in vendita” anche se apparentemente stride con l’opinione che abbiamo di noi stessi, fotografa in realtà quello che tutti noi facciamo quotidianamente e a più livelli. E non solo per soldi, ma anche per avere attenzioni e soprattutto per essere accettati e amati.
Regia: Luciano Melchionna
Luci: Camilla Piccioni
Costumi: Michela Marino
Assistenti alla regia: Cristina Spano – Andrea Caiazzo
Organizzazione: Antonio Cappelli
Amministrazione: Roberta Caldironi