Serata inaugurale al TAG – Teatro Antonio Ghirelli – di Salerno
Produzione Teatri Uniti – Napoli Teatro Festival Italia – in collaborazione con Università della Calabria
Pubblico puntuale, arriva in orario, anzi in anticipo sfidando il freddo annunciato ma pur sempre inaspettato ed improvviso per i salernitani abituati al clima estivo e mite fino a ottobre avanzato. E proprio del tempo si parla in attesa dell’inizio. Si avverte un po’ di fresca eccitazione specialmente da parte degli addetti, dei responsabili, e degli amici, tutti premurosi ed accoglienti. Bella sensazione essere “accolti”. Si avverte l’animazione della prima, la prima della stagione, ma è un giovedì freddoloso, un po’ fiacco e la conversazione continua sul tempo, finalmente si aprono le porte e ….arriviamo in sala.
Buio. Ci prepariamo al magico momento in cui il sipario si aprirà, si avverte il fremito di curiosità misto ad impazienza….ma un rumore di passi fa girare tutte le teste come girasoli in un campo che si muovono alla ricerca della luce in una prospettiva convergente. L’attore arriva dal fondo, sbuca alle spalle degli spettatori: torsioni del collo e del busto ed ecco che nel silenzio inizia lo spettacolo…
La luce fioca di una candela illumina un volto scarno ed emaciato; sembra debole e stanco ma poi la voce gli si dipinge in faccia e diventa un altro: aggressivo, arrabbiato parla al pubblico attraversando la sala. Si rivolge a ciascuno: e di ciascuno si percepisce l’imbarazzo sentendosi, inconsapevolmente, chiamato in causa, finge indifferenza ed accusa il colpo. Poi la candela e l’attore arrivano sul palco e con le ultime battute di un monologo ispirato a “I pensionati della memoria” di Luigi Pirandello il PROLOGO saluta ed esce.
Le vibrazioni della lingua napoletana alimentano il desiderio di riascoltare le parole appena udite per poterle tenere a mente come spunto di riflessione ma subito dalla penombra emerge la scena, scarna ed efficace: un tavolo, tre sedie e due porte emblematiche a forma di bara.
Dolore sotto chiave è un atto unico di Eduardo De Filippo inserito nella raccolta “Cantata dei giorni dispari”, scritto nel 1958 venne presentato al pubblico l’anno successivo come radiodramma e portato in scena nel 1964 con Regina Bianchi e Franco Parenti diretti da Eduardo (insieme a Il Berretto a sonagli di Luigi Pirandello) per la riapertura del Teatro San Ferdinando di Napoli. Luca De Filippo con Angelica Ippolito lo riprenderanno nel 1980.
“In Dolore sotto chiave – spiega Francesco Saponaro nelle sue note di regia – buoni sentimenti come la carità cristiana, la compassione o la mania borghese della beneficenza diventano armi improprie per dissimulare, negli affetti, quella segreta predisposizione dell’essere umano al controllo e al dominio sull’altro”.
Testo poco conosciuto, tratta il tema della morte in chiave surreale. Solitudine, follia, esacerbazione dei sentimenti amorevoli di protezione che mal nascondono gelosia ed invidia dell’altrui felicità, raccapriccio, disgusto, sofferenza, rabbia come condomini litigiosi e disperati si urtano e si affollano e dalla bolla esplode la verità. Rocco apre violentemente la porta e scopre che Elena sua moglie è morta…da un anno e Lucia, sorella di Rocco, gli ha nascosto la notizia per non farlo soffrire…..
“Perché? Perché? Perché?” sconvolto, Rocco la interroga e Lucia, nella sua candida (e innocente?) difesa: “Se Elena muore io mi sparo un colpo di rivoltella! Così mi scrivevi tu nelle lettere”
La morte , il dolore, i sensi di colpa, il distacco, il tradimento, il silenzio, coacervo di emozioni interrotte dal vicino di casa, arrivato con una scodella di cioccolato caldo a portare conforto ritardato al vedovo che rivendica il suo diritto al dolore. Ma ormai è troppo tardi, è inutile, è impossibile piangere. Rocco si sforza, si impegna ma le lacrime non escono, sostituite da una rabbia incontrollata.
Si ride nonostante tutto, nella migliore tradizione di Eduardo, il grande immenso autore, che ha sempre tratteggiato il carattere umano nelle sue mille sfaccettature, colorando ogni sentimento nella dualità del bene e del male, del comico e del tragico in continua oscillazione tra la vita e la morte. E quasi sembra presente in scena con la sua faccia scavata e le sue famose pause mentre ciascuno pensa che son già passati trent’anni. Eppure Eduardo c’è, c’è ancora nelle sue parole e un fremito attraversa la sala mentre il suo Spirito sorride con la sua risata dolce – amara. Grazie Eduardo!
Esilarante la scena dei due fratelli Rocco e Lucia, in ginocchio nel surreale discorso con il Signore (ricorda la famosa scena di Massimo Troisi e Lello Arena nella preghiera, girata un po’ a ricatto, a San Gennaro), ma in fondo parlano al pubblico, che partecipa coinvolto.
Bravi gli attori: Tony Laudadio, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano. indovinata la scelta della Lucia interpretata da un uomo che gustosamente la caratterizza senza mai cadere nella parodia.
Il vicino di casa viene cacciato, i due fratelli escono di scena, separatamente, e le porte-bara si chiudono.
Applausi convinti e fragorosi accompagnano un veloce cambio di scena e si continua.
Le porte son diventate pareti e una poltrona sola accoglie una moglie svogliata e scontenta. L’assenza di arredo testimonia la monotona e arida vita dei padroni di casa.
Inizia Pericolosamente, testo molto conosciuto e molto rappresentato. Tre attori: moglie, marito ed amico, ma la vera protagonista di tutto il dramma farsesco è la pistola. Il marito, stanco delle continue lamentele della moglie ha preso l’abitudine di spararle, ovviamente con la pistola caricata a salve. La moglie, che non lo sa, sviene dalla paura e al suo risveglio è convinta di aver ricevuto un miracolo e diventa carina e premurosa. Grottesco, il testo si presta alle talentuose caratterizzazioni di una recitazione che convince e diverte il pubblico. Bravi gli attori Francesco Saponaro che sapientemente firma la regia dello spettacolo aggiunge nelle note: ”Nel testo viene evocato un oggetto-simbolo, usato come sottile minaccia di suicidio dal povero Rocco Capasso del Dolore sotto chiave: la rivoltella, che in Pericolosamente si materializza e si trasforma in un vero e proprio strumento di tortura coniugale”.
Già Eduardo, nella sua lungimirante drammaturgia poneva l’accento sulla violenza e sulle torture psicologiche che divampano tra le mura domestiche e porta in scena il dolore che veniva nascosto nel silenzio della porta di casa. “I panni sporchi si lavano in famiglia” C’è da sperare che oggi non sia più così perché è inutile nascondere la verità. Soltanto portandola alla luce ed esponendola al pubblico giudizio si può sperare di migliorare. Il teatro non può sostituirsi né alla Legge, né alle Istituzioni, ma da sempre è testimone dei costumi della società, diventandone pungolo e stimolo per la sua evoluzione.
Le scene e costumi sono firmati da Lino Fiorito, il disegno luci di Cesare Accetta, il suono curato da Daghi Rondanini.
Buona la prima! La stagione è iniziata. Aspettiamo gli altri appuntamenti.