Dramma giocoso in due atti, libretto di Lorenzo Da Ponte, musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Due goliardi pervertiti alla saga della mutanda
Per Graham Vick, regista del Don Giovanni al Teatro Pergolesi di Jesi, il sesso tout court prevale sul gioco erotico, lo sballo è più importante del ballo, la volgarità si sostituisce all’eleganza e la banalità al mistero, perché secondo lui oggi i giovani sono così. Si fa sesso in macchina, ci si droga alle feste, ci si traveste, le donne sono dei manichini e non portano le mutande.
Un’offesa schiacciante per i giovani e per le donne.
In questo Don Giovanni l’ambiente comune per il sesso è una Rang Rover nera, da lì escono Donna Anna con le mutande alle ginocchia e Don Giovanni coi pantaloni abbassati continuando a fare sesso per terra e contro l’auto, quella è il casinetto dove il Don porta Zerlina, lì passano gli invitati alle nozze di Zerlina e Masetto e lì, entrando dal bagagliaio, consumano i due giovani dopo essersi quasi spogliati in scena. E queste idea poteva essere simpatica.
La festa a casa di Don Giovanni è un party di droga e di sesso che finisce a bastonate, gli invitati si tuffano sulla polverina bianca, gettata a terra dal Don, a tempo di minuetto e di contradanza (?) con movenze moderne (coreografo Ron Howell), inneggiando alla libertà (ma quale libertà se sono schiavi della droga?) e tutto si svolge in una rumorosa confusione che annulla la musica e le sue intenzioni. E questo è un’indecenza.
All’invito di Leporello “Venite pur avanti, vezzose mascherette” si presentano tre baldraccone coloratissime (Ottavio in minigonna è una bellissima donna che piace anche a Don Giovanni) che ci hanno fatto tanto ridere, ma proprio nel momento in cui la musica creava mistero. E questo è una contraddizione.
L’elemento ricorrente in tale produzione è un indumento femminile, le mutande. Don Giovanni fa annusare un paio di mutande bianche sporche di sangue al Commendatore che muore d’infarto cadendogli addosso, le donne con le mutande sulle ginocchia e le gambe all’aria son sempre pronte per l’uso, gli uomini coi pantaloni sbottonati le prendono in tutte le posizioni. La cena è un susseguirsi di trovate vomitevoli di coprofagia e di velata pedofilia, con mutande che vanno giù e su, giovani corpi in varie pose davanti alla macchina fotografica del Don. Giù le mutande anche per Elvira che arriva con kilt e camicia, Don Giovanni gliele toglie e… “Vivan le femmine”; quando il commendatore bussa alla porta, Leporello nasconde la testa tra le natiche di una grande statua nuda e poi le schiaffeggia, come in un film porno, la statua si gira e tra le sue gambe compare il commendatore con in mano le mutande bianche sporche di sangue. E tutto questo è un’insopportabile volgarità.
Le mutande continuano a girare anche nel quintetto finale, Ottavio le passa ad Anna, Anna le butta a terra, poi tutti cominciano a spogliarsi… ma ormai era tardi, potevano farlo prima, avremmo avuto gli occhi scintillanti piuttosto che lo stomaco in subbuglio.
Quasi sempre presenti i vigili urbani in divisa, che attestano la morte del Commendatore, ne disegnano la sagoma a terra e lo portano via, indagano sulla scomparsa di Don Giovanni, tengono d’occhio Leporello e mettono i sigilli.
Comunque nella prima parte fino alla festa il regista tiene un certo ritmo, anche se sesso e droga danno un piacere effimero che non resta nel ricordo, nella seconda parte invece tutto si appiattisce, il regista banalizza e quasi sorvola le scene più cariche di mistero: il cimitero, la cena, la fine di Don Giovanni; chi non conosceva la storia non ha certo capito che cosa stava succedendo e chi la conosceva aveva i nervi a fior di pelle. Il commendatore-statua seduto sul boccascena è piuttosto ridicolo, sarebbe più credibile se la voce venisse da dietro la tomba o da dietro il baldacchino blu, anche perché Leporello non guarda lui, ma verso la tomba quando lo invita (“O statua gentilissima”). Don Giovanni dopo la stretta mortale del commendatore scende dal palcoscenico e si siede in platea. Ma che punizione è? Il regista dice che stare tra la gente è un inferno. Mah!
Tralascio l’analisi di tanti altri elementi e simboli, perché non sono stata al cinema, ma all’opera, e i registi devono imparare ad avere l’umiltà di porsi in secondo piano rispetto alla musica.
Le luci di Giuseppe Di Iorio si adeguano alle situazioni cambiando colore, forma, direzione e intensità. Stuart Nunn propone anonime scene minimaliste lontane da quelle richieste e sipari sontuosi di raso arricciato orizzontalmente; i costumi sia casual che da cerimonia sono contemporanei (Leporello in tuta, Don Giovanni con completo bianco o jeans e maglietta, Ottavio con uno spezzato, Elvira in abito monacale, Anna con impermeabile, gonna, stivali e gambe scoperte, Masetto e Zerlina vestiti da sposi).
In tutto questo ambaradan di cattivo gusto, ogni tanto si apprezza anche la musica eseguita dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali diretta piuttosto superficialmente dal venezuelano José Luis Gomez-Rios e si apprezzano le voci, anche se non perfette, dei giovani vincitori del Concorso AsLiCo 2014 e le magnifiche voci scure dei due protagonisti maschili: Leonardo Galeazzi (Leporello) e Dionisos Sourbis (Don Giovanni).
Leonardo Galeazzi è un professionista affermato, la sua arte scenica, la mimica facciale, la dizione chiara e l’ottima recitazione gli permettono di realizzare un Leporello divertente, ironico, scanzonato e sicuro di sé; dotato di voce maestosa, dal colore scuro molto bello e rotondità del suono, di notevole spessore e ampiezza e di grande agilità, il baritono canta benissimo, anche disteso, ammorbidisce con insinuazione una voce robusta e sonora quando legge sul cellulare la lista delle amanti del padrone (“Madamina, il catalogo è questo”) e si destreggia agevolmente nel canto sillabato.
Il baritono greco Dionisos Sourbis è un bel Don Giovanni, giovane e scattante, che avrebbe bisogno di una regia più elegante, ha una bella gettata di voce, poderosa e di bellissimo colore, che necessita di un certo controllo: è sinuosa e morbida ai fini della conquista pur mantenendo un ironico distacco (“Là ci darem la mano”), è troppo urlata in “Fin ch’han del vino” cantata con irruenza, forse a causa della droga che si inietta nel braccio (orrenda trovata registica perché Don Giovanni è pur sempre un signore e la droga non aiuta il sesso, quindi caro regista sei proprio fuori), è poco ferma nella serenata “Deh vieni alla finestra”.
Accento incisivo per Don Ottavio e Donna Anna fisicamente male assortiti: lui è piccolino e lei un diavolone alto, a volte conciata da travestito. Il soprano Ekaterina Gaidanskaja canta bene il racconto dello stupro (“Or sai che l’onore”), la voce c’è ed è ben usata, ma il ruolo è pesante per lei che lo affronta come un’urlatrice con suoni acuti sparati e tenuti, morbidezza nei medi e gravi vuoti. Il tenore Matteo Mezzaro ha voce di bel colore e buon volume, ma poca fluidità nell’emissione (“Il mio tesoro intanto”), qualche ammorbidimento c’è ma predomina l’asprezza, ci vuole maggior dominio del fiato per dare più morbidezza al canto e per non tagliare gli acuti.
La voce possente, ampissima e di grande peso del basso rumeno Cristian Saitta è ottima per il ruolo del Commendatore, le dilaganti espansioni acute seguite da improvvisi ritorni al grave, sostenute da un’orchestra inquieta e robusta, durante la cena, creano un clima devastante di terrore.
Il soprano Mariateresa Leva, inizialmente vestita da castissima suora, scende dall’alto su una specie di altalena e finisce dentro un montacarichi pieno di pupe, alcune delle quali si animano e scendono. Si cala nel personaggio di Donna Elvira con un’ intensa interpretazione, cerca di ammorbidire e di fare le dinamiche richieste (“Non ti fidar o misera”), ma non c’è proprio come Elvira, la voce è corta, arriva male al registro grave anche se spinta col mento basso (“Ah fuggi il traditor”) e viene gonfiata negli acuti.
Masetto in abito grigio lucido e scarpe bianche in piedi sul tetto dell’auto e Zerlina con abito bianco corto da sposa che lancia il bouquet in platea fanno parte del gruppo colorato degl’invitati. Il bass-bariton Davide Giangregorio ha voce ampia e sonora, canta bene esternando ironia mista a rabbia.
Alessandra Contaldo è un soprano brillante con voce piuttosto corta e con qualche suonetto fisso, ma dalla tinta mozartiana, ha modo aggraziato di cantare e usa bene la voce nel canto melodioso (“Vedrai carino”).
Il Coro del Circuito Lirico Lombardo, diretto dal M° Dario Grandini svolge la sua azione anche in platea.
Coproduzione con gli otto teatri del Circuito Lombardo.
Don Giovanni | Dionisios Sourbis |
Don Ottavio | Matteo Mezzaro |
Commendatore | Cristian Saitta |
Donna Elvira | Mariateresa Leva |
Donna Anna | Ekaterina Gaidanskaja |
Leporello | Leonardo Galeazzi |
Masetto | Davide Giangregorio |
Zerlina | Alessandra Contaldo |
Orchestra I Pomeriggi Musicali |
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Direttore | José Luis Gomez-Rios |
Coro del Circuito Lirico Lombardo |
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Maestro del Coro | Dario Grandini |
Regia | Graham Vick |
Scene e costumi | Stuart Nunn |
Disegno luci | Giuseppe Di Iorio |