Dopo il grande successo ottenuto quest’estate alle Terme di Caracalla con il nuovo progetto della Carmen, l’Orchestra di Piazza Vittorio torna nei teatri italiani con il precedente cavallo di battaglia, l’opera semiscenica che rilegge il Flauto Magico di Mozart in una chiave del tutto nuova. Riparte dal teatro Quirino di Roma la tournée di questo spettacolo, nato nel 2007 da un’idea di Daniele Abbado per la Notte Bianca di Reggio Emilia, che è giunto alla centocinquantesima replica, dopo quella eccezionale del 22 settembre scorso nel Cortile d’onore del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tamino, Pamina, Papageno, Sarastro, la Regina della Notte, Monostatos. I personaggi ci sono tutti ma sono gli stessi orchestrali ad impersonarli. Basta un cappello a falda larga e i violinisti si trasformano nelle tre Dame, un pastrano e il trombettista diventa il narratore, un becco e il percussionista diventa Papageno. Ad ogni strumentista o cantante è stato affidato un ruolo in base ad una somiglianza caratteriale o per affinità con certe esperienze vissute. Esemplare è il caso di Sarastro, interpretato da Carlos Paz, “un artista con un rapporto molto forte con la politica e la religione che racconta spesso dei riti sciamani del suo paese; lui stesso ha qualcosa dello sciamano”, si legge nelle note dello spettacolo. Poi sono gli arrangiamenti particolari dei temi e delle armonie delle arie più famose dell’opera a forgiare le nuove identità. E così, spaziando dal folk al reggae, dalla musica classica a quella cubana, dal pop al canto muezzin, rinasce il Flauto Magico secondo lo stile che ha reso celebre nel mondo l’Orchestra di Piazza Vittorio, nata nel 2002 proprio nel giardino multirazziale dell’omonima piazza romana. Mescolare generi e culture è l’intento principale di questi musicisti per dimostrare che una società multietnica, affascinante nelle sue diversità, è possibile ed è la chiave del successo. Sulla scena il cavaquinho, le congas, la kora, il dumdum, il sabar, la tabla, il flauto andino dialogano con la viola, il violoncello, il clarinetto, la tromba, le chitarre, la batteria e il pianoforte; così le lingue arabe, inglesi, spagnole, tedesche, portoghesi, wolof si alternano con grande naturalezza all’italiano. La trama originaria riemerge dalla narrazione vocale e dai pannelli ad acquerelli animati di Lino Fiorito su cui scorrono brevi didascalie e dialoghi come in un fotoromanzo. È agevolato chi conosce già l’originale mozartiano, ma anche chi non è un melomane può divertirsi e lasciarsi trasportare dall’atmosfera di questa fiaba musicale senza tempo e senza luogo.