La dolente comicità dell’amara realtà
Regina Madre del napoletano Manlio Santanelli è una pièce rappresentata in tutto il mondo, in alcuni paesi va in scana quotidianamente da otto anni, recensita al suo debutto 30 anni fa da Eugène Ionesco. Autentico caposaldo della drammaturgia italiana del Novecento.
Con questa rappresentazione si è aperta la stagione al teatro dell’Angelo che, per volere del direttore artistico Antonello Avallone, sarà dedicata ad autori italiani.
Due personaggi in un interno. Alfredo, cinquantenne disilluso in preda a una crisi esistenziale, dilaniato da un matrimonio fallito e una carriera giornalistica stroncata, torna dalla madre affermando di volerla assistere nella malattia. La donna, genitrice castrante e volitiva, intuisce la fragilità della motivazione addotta e contrappone la sua ferma volontà di rimanere indipendente.
Prende il via un duello verbale, emotivo, psicologico, subdolo e spietato durante il quale pian piano affiorano le reali dinamiche intrecciate di ricatti, menzogne, ritorsioni e maldestri tentativi di esternazione di amore filiale e materno, prontamente incalzati dalle tenaci obiezioni dell’antagonista.
L’ambiente domestico e rassicurante si trasforma in un vaso di Pandora da cui fuoriescono rancori, paure, prevaricazioni, fragilità, ostinazione, fallimenti.
Nel perenne confronto col padre cui Regina sottopone il figlio, il ricordo del genitore giganteggia e risulta inarrivabile per le umane capacità di Alfredo. “Sono figlio di un dio greco, ma non ho preso da lui” afferma con un moto di ribellione, schiacciato dall’inarrivabile modello paterno.
L’acme dell’assurdo si raggiunge quando l’uomo rivela l’autentico motivo del suo ritorno: dare nuova linfa alla sua carriera pubblicando un’inchiesta sulla malattia e morte della madre.
Con andamento sinusoidale la tensione sale e poi si stempera in momenti di grottesca comicità, così ciclicamente fino all’inaspettata conclusione.
Risate amare, oltre le quali ciascuno può riconoscersi, nell’uno o nell’altro ruolo: tanti uomini sono insicuri e infidi come Alfredo, tante madri sono accerchianti, dispotiche e possessive, sotto la patina della tenerezza. “Mi devi scusare, non sono io, è la vecchiaia” si giustifica Regina. I nobili sentimenti reciproci (l’assistenza nella malattia, il golfino di lana lavorato ai ferri, la torta per la festa di compleanno) sono unicamente la sottile corazza sotto cui ribollono ataviche frustrazioni, assenza di scrupoli, inveterate prevaricazioni. Impossibilitati a districarsi nella rete dei reciproci inganni, ne resteranno prigionieri.
Milena Vukotic tratteggia il carattere di Regina con piena aderenza interpretativa e fisica, apparentemente delicata ma profondamente inscalfibile, con uno stile borghese e rétro che anche i costumi di Red Bodò concorrono ad esaltare. Antonello Avallone, che cura anche la regia, rende appieno lo stordimento, al contempo comico e tragico, e il cinismo di un figlio destinato a sopperire.