Teatro gremito per il Rigoletto di Verdi che conclude la Stagione 2013/14 del Teatro dell’Opera di Roma: come sempre la prima delle opere della trilogia popolare verdiana è amatissima dal pubblico (molti stranieri in sala agevolati dai sovratitoli in inglese) tanto che con occhio lungo è già stata inserita nel programma del nuovo anno.
Il nuovo allestimento in scena con la regia di Leo Muscato è un po’ ibrido, di impianto tutto sommato tradizionale seppur con qualche rottura operata di qua e di là: del resto il regista ha voluto privilegiare i colori tetri di un dramma a tinte fosche, spiegando di aver voluto citare un certo gusto epsressionista.
“Tutto è netto, chiaro, violento nella sua ineluttabilità – spiega il regista – Il travestimento è ciò che lega i personaggi: tutti fingono di essere ciò che non sono, e la bella faccia del Ducato di Mantova, è solo la maschera di un mondo in disfacimento. È proprio a partire da questa idea di disfacimento, degenerazione, sfrenatezza, che abbiamo cominciato a ragionare sulla nostra messa in scena. Le tinte forti tratteggiate da Verdi ci hanno suggerito un mondo astratto, pieno di chiaroscuri: ombre, luci dal sapore espressionista e al contempo fortemente evocative”.
In tal senso le luci di Alessandro Verazzi contribuiscono bene a rendere tetro questo mondo in totale disfacimento morale come si evince anche dall’atmosfera della festa-festino iniziale nel Palazzo dove i cortigiani indossano maschere dalle fattezze animalesche (idea già vista). Anche i costumi appaiono molto contaminati mescolando diversi accenni della Belle Èpoque, gli abiti Anni Venti, gli smoking dei cortigiani (con tanto di gorgiera), la virginale sottana di Gilda e la (discutibile) vestaglia di Giovanna, il liso cappotto di Rigoletto quando sveste gli abiti rossi da buffone di corte, gli abiti un po’ da dandy del Duca con gli stivali, poi vestito nel terzo atto vestito da ufficiale.
Le scene suggerite di Federica Parolini in effetti custodiscono semplicemente quel che accade nel Ducato di Mantova, ora evocando gli spazi lussuosi del Palazzo attraverso una sorta di tende broccate con fregi dorati che si calano dall’alto (e con tanto di scritta con lampadine luminose dal gusto discutibile), ora la casa di Gilda con un semplice letto in ottone, ora l’osteria di Sparafucile con un tavolo di legno o il ricco talamo nuziale del Duca. All’interno di questi spazi lugubri e spesso solo evocati, si consuma il dramma di Rigoletto sulle possenti note di Verdi e s’inserisce qualche innovazione registica (il Duca che sceglie l’abito da Gualtier Maldè spiato dal pubblico mentre Rigoletto incontra Sparafucile o lo split screen nel primo anno con il Duca che si aggira fuori la casa di Gilda mentre Rigoletto si rivolge alla figlia).
Sostenuta e di buon temperamento la direzione d’orchestra di Renato Palumbo sul podio che ha regalato i giusti accenti e le adatte sfumature alla partitura, fra momenti più drammatici e romantici.
“Desidero ringraziare l’orchestra e il coro presenti in un momento così difficile” ha detto il maestro solidarizzando con gli artisti all’inizio del secondo atto, supportato dagli applausi del pubblico. Ottimo il cast che ha visto sul palco Giovanni Meoni nel ruolo di Rigoletto (si alterna con Francesco Landolfi e Stefano Antonucci), quasi perfetto il Duca di Piero Pretti (si alterna con Gianluca Terranova) nella voce (seppur poco coinvolgente nell’interpretazione soprattutto nei duetti amorosi), dolce Ekaterina Sadovnikova nel ruolo di Gilda (si alterna con Claudia Boyle) che raccoglie inevitabili applausi in Caro nome, ottimo il coro diretto da Roberto Gabbiani che svolge un ruolo primario nel Rigoletto. Un bel successo per il Teatro che replica fino al 31 ottobre (martedì 28 (ore 20), mercoledì 29 (ore 20) giovedì 30 (ore 20) e venerdì 31 (ore 18).