Si apre con “Vocazione”, l’ultimo lavoro di Danio Manfredini, la stagione 2014-2015 del Teatro Cantiere Florida: uno spettacolo prodotto da La Corte Ospitale, e di cui Elsinor Teatro Stabile d’Innovazione e Versiliadanza, insieme a Sotto-Controllo e Collettivo di Ricerca Teatrale – Vittorio Veneto, sono coproduttori.
Manfredini (Premio UBU 2013 sezione Premi Speciali per “l’insieme dell’opera artistica e pedagogica, condotta con poetica ostinazione e col coraggio della fragilità, senza scindere il piano espressivo dalla trasmissione dell’arte dell’attore, […] per la costante ricerca, apertasi da ultimo alla via del canto, che gli ha consentito di diventare uno dei rari maestri in cui diverse generazioni del teatro si possono riconoscere”) accompagna lo spettatore sul suo spoglio palcoscenico, arredato solo da qualche sedia e dai vestiti che vi sono adagiati sopra, protagonisti dell’introduzione dei personaggi del collage di situazioni, desunte dai classici, che l’attore-regista ci offre; un viaggio all’interno di frammenti di opere teatrali, dove sono portati in scena gli attori del “suo” teatro e del suo stesso repertorio d’autore. In primis il “Re Lear” shakespeariano, opera letteraria universale, citata più volte (“Soffiate, venti, da scoppiarvi le gote, infuriate, soffiate!” – Atto III, scena II), e poi “Amleto”, “Pagliacci”, Pirandello, Checov, offrendo al pubblico l’anima nuda del vero attore, quello che ogni sera in scena si “mangia la vita”, quello che non può stare senza sentire la vertigine del palcoscenico, che non può esimersi dall’ascoltare, trasmettere, invocare il teatro sempre e comunque, quell’attore che è capace di soffrire, non per la gloria o per il lustro, ma per trovare nel caos di chimere che è oggi il mondo dell’arte, la sua strada, la sua fede, la sua vocazione.
Lo stesso Manfredini, afferma: “Mi apro ad un percorso di lavoro che verte sul tema dell’artista di teatro. Metto a fuoco questo soggetto in un momento in cui sembra inutile, non necessario, occuparsi di quest’arte e di conseguenza dell’attore-autore-regista teatrale, figura che sembra in disuso. Fosse anche, come si dice, che il teatro è destinato a sparire, sarebbe comunque un privilegio dare luce al tramonto”.
Sulla scena assieme a Danio Manfredini, troviamo Vincenzo Del Prete: i due interpreti si mascherano, si vestono e si spogliano sul palco, senza segreti, senza imbrogli.
“Vocazione” quindi è il viaggio che rimanda al ruolo ed alla necessità dell’artista, all’interno delle sue paure, dei suoi desideri e delle (in)consapevolezze legate alla pratica di un mestiere; il viaggio all’interno del teatro, quello di ieri e quello di oggi, con le sue ombre ed i suoi fantasmi, in un microcosmo che in realtà è solo il riflesso della società odierna e dell’inquietudine dell’uomo: paura del fallimento, della follia, desiderio di evasione, lotte dell’istinto contro la coscienza, e quella consapevolezza che ha l’attore del suo destino, dolce e terribile, di non poter esistere fuori dalla scena e di non poter mai smettere di recitare, mai “finire” di fare l’attore, incarnando il potere del palco e l’orgoglio bambino di avere tutti ai suoi piedi.
“Vocazione” è la dimostrazione che la vita del teatro non è un idillio, che il calcare le scene non tiene lontano la perfidia umana, l’egoismo, le utopie disilluse, e che anche gli attori sono sconfitti dall’implacabile scorrere del tempo, poiché anche se “dove c’è talento non esiste la vecchiaia”, i moderni stupratori dell’arte relegano comunque l’artista in una soffitta così come fa il teatro della vita.