Da Enrico IV/Enrico V di William Shakespeare
Traduzione: Nadia Fusini
Estratti da Falstaff, libretto di Arrigo Boito dall’opera di Giuseppe Verdi; Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche; Lettere al padre di Franz Kafka; sceneggiatura di Belli e dannati (My Own Private Idaho) un film di Gus Van Sant
Personaggi e interpreti:
Falstaff/Re Enrico IV: Giuseppe Battiston
Bardolph: Gennaro Di Colandrea
Pistola: Giovanni Ludeno
Doll: Martina Polla
Principe Hal/Re Enrico V: Andrea Sorrentino
Doll: Annamaria Troisi
Ostessa: Elisabetta Valgoi
Ned: Marco Vergani
Adattamento e regia: Andrea De Rosa
Scene e costumi: Simone Mannino
Luci: Pasquale Mari
Suono: Hubert Westkemper
Movimenti scenici: Francesco Manetti
Fondazione del Teatro Stabile di Torino
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Il Teatro Toniolo inaugura la stagione nel segno della provocazione. Falstaff, con la regia di Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston nel ruolo omonimo, è scelta audacissima ma riuscita. Il copione è costruito su estratti da Enrico IV e Enrico V di Shakespeare, da Kafka, Boito, Nietzsche e Gus van Sant ed è finalizzato a rendere al meglio la figura di Sir John. Esplicito il messaggio che pervade lo spettacolo. In un attuale state of being in cui vigono parole d’ordine come “sobrietà”, “moralità”, “ipocrisia”, “bellezza”, “convenienza”, è degno di merito portare in scena la deformità del corpo grasso, l’andare a puttane, il circondarsi di compagni balordi e l’eloquio volgare. Dove sia stato Falstaff tutto questo tempo è la domanda che ci pone il regista. Non c’è posto per lui nella società contemporanea perché Sir John inneggia all’ebbrezza, al sesso promiscuo, alla crapula, alla millanteria. C’è bisogno di invocarlo, quasi novella ombra di Dario dal sapore antico. Non ci si traveste più con maschere, dato che quelle ormai si indossano ogni giorno, ma con grossi ventri pieni di vino: simbolo di un’epoca, di uno status sociale, di una religione – si pensi alla pancia del Buddha – l’epa diventa inaspettatamente un feticcio erotico, un perverso oggetto del desiderio, una mammella da cui attingere nutrimento, dando così dignità esistenziale al diverso. Un’urgenza di vivere espressa anche dall’uso moderato di intercalari scurrili che possono urtare o meno la sensibilità degli spettatori. Eppure, e questo è un altro punto cardine dello spettacolo, Falstaff sa essere un patrigno protettivo, accogliendo tra la ciurma della sua Narrenschiff anche il principe di Galles Hal, futuro Enrico V. Sebbene predestinato al trono, questo giovane dissoluto che spende l’esistenza tra l’osteria e le orge subisce il fascino magnetico del vecchio ubriacone, tanto da diventarne il figlioccio. Una volta incoronato sovrano, Hal non tarderà a piegarsi subito alle logiche di potere, disconoscendo il compagno di merende e destinandolo alla guerra.
Falstaff come antieroe e eroe allo stesso tempo dunque. Il testo approntato da Andrea De Rosa descrive bene il carattere del “vecchio John”, approfondendone gli aspetti psicologici più profondi e oscuri. Il suo è, senza ombra di dubbio, un allestimento particolare che regge per buona parte della durata, eccezion fatta per il dialogo tra Hal e il suo vero padre, momento in cui parte una lunga tirata filosofica che spezza la tensione drammatica creata in precedenza.
Lo scenografo e costumista Simone Mannino ambienta la vicenda in un’arena riempita di letti e divani gonfiabili, intelligente rimando agli inflatables di Koons che sono simbolo di una spensieratezza infantile difficile da abbandonare, ma che a forza vengono tirati su da una rete nel momento del confronto tra Hal e Enrico IV, nel passaggio cioè dalla dissolutezza alla responsabilità. Le luci di Pasquale Mari seguono attentamente i personaggi, così come i suoni di Hubert Westkemper li caratterizzano, soprattutto Pistola.
Giuseppe Battiston interpreta un Falstaff perfetto, dalla voce chiara e melliflua, tenero e duro all’occorrenza. Andrea Sorrentino incarna il lascivo e sensuale Hal, chiaramente inadatto alla corona, mentre Marco Vergani (l’ambiguo Ned) trova spazio per raccontarsi solo verso la fine. Elisabetta Valgoi, perennemente in impermeabile e con occhiali da sole addosso, è l’Ostessa innamorata di Sir John e a lei è riservato il necrologio finale per l’amato, mentre un’enorme maschera mortuaria si gonfia sulla scena. A Giovanni Franzoni viene affidato il ruolo di Giudice supremo, che commenta la vicenda seduto a un tavolo al di sotto del palco. Brave Martina Polla e Annamaria Troisi, le due prostitute, o una sola sdoppiata in due non si sa (Doll). Di contorno Gennaro Di Colandrea (Bardolph) e Giovanni Ludeno (Pistola).