Tre bambini che giocano dietro ad una siepe. Così incomincia il film biografico sulla vita di Giacomo Leopardi. Dietro una siepe vive anche l’avventura poetica del poeta, sempre alla ricerca dubbiosa dell’infinito, da una condizione finita e sofferente. La vicenda prosegue dietro le mura austere del suo palazzo-biblioteca, lontano dal mondo, dove il giovane poeta comincia lo “studio matto e disperatissimo” della filologia, della letteratura antica e della filosofia sotto lo sguardo ammonitore e attento del padre Monaldo, figura patriarcale e oppressiva, che rimanda al rapporto conflittuale padre-figlio di altri autorevoli enfant prodige nella storia delle arti.
Dalla finestra della sua biblioteca osserva la vita, la natura, là fuori, medita l’immagine della luna, di una giovinetta che poi morirà per divenire icona eterna della poesia italiana, di un cosmo irretito dal dolore trasfigurabile solo nella bellezza e vaghezza poetica.
Accanto al padre oppressivo e ad una salute cagionevole a sovrastare e castrare la giovinezza e la libera sensibilità del poeta, c’è una madre bigotta e anaffettiva, di poche lapidarie parole, che viene delineata con cura ma sintesi filmica. Sarà, non casualmente, la stessa attrice, più avanti, a prestare il volto onirico a quella Natura ostile, a cui il poeta, nei suoi scritti poetici e filosofici, si rivolgerà sempre con profondo e disperato rancore.
Ritroviamo il poeta, dopo i turbamenti e i tormenti della gioventù a Recanati, a Firenze, dove avvengono due incontri fondamentali della sua vita emotiva e letteraria, con l’amata Fanny e con l’amico Antonio Ranieri. È del periodo fiorentino anche il confronto con la società intellettuale dell’epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi in termini di grandezza artistica, ne intuisce la pericolosità in termini “politici”, per le tanto “magnifiche sorti e progressive” che il secolo decantava e che il suo pessimismo umano, storico e cosmico minava alla radice.
L’atto conclusivo, dopo una breve sosta a Roma, si svolge a Napoli, città cara al regista Martone.
Alle pendici del Vesuvio, lontano dall’epidemia del colera, ma non da quella Natura matrigna, che lega sempre a sé con sofferenza le sue creature, si concluderà la parentesi di vita di Leopardi, strappandogli l’ultimo grido di disperazione, che è il suo testamento letterario, la poesia La ginestra, summa del suo pensiero filosofico e dono poetico alla letteratura italiana e all’umanità.
Degno di nota in questo film è il sottofondo musicale, un vero e proprio alter ego del protagonista de Il giovane favoloso: da Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (alias Apparat) e al brano Outer del canadese Doug Van Nort. Già questa scelta dice molto della rivisitazione in chiave post-moderna che il film vuole dare della figura di Leopardi, la cui universalità lo rende per ciò stesso trasversale ad ogni epoca ed a ogni interpretazione ideologica e per ciò stesso parziale.
Martone racconta un Leopardi come non mai debole e struggente, animo acutissimo dalla fragile salute, ma dalla grande profondità intellettuale e ironia. Elio Germano presta voce e corpo alle sue molteplici sfaccettature, letterarie, intellettuali ed umane.
“La mia patria è l’Italia, la sua lingua e letteratura“. Il film ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell’Italia di oggi e nella speranza del regista, anche di un domani auspicato in maniera sottinteso. Il poeta esce dai sussidiari ed entra nella contemporaneità, infatti il regista fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili. Germano interpreta quei versi senza declamarli, senza fronzoli o abbellimenti recitativi, ma reintegrandoli in un contesto umano e storico allargato, capace di abbracciare l’epoca in cui visse Leopardi e questa in cui lo riascoltiamo, come non fosse passato neanche un momento, tant’è la vividezza delle parole e l’enfasi che riverbera nei cuori di chi le ascolta. La medesima malinconia “che ci lima e ci divora“, rifà vivere in noi gli stessi dilemmi esistenziali del poeta. Un Leopardi, immenso di genio e tenerezza, viene fuori dalla volontà del regista, che mai indulge nella pietà o nel grottesco per i suoi tormenti fisici, anzi facendogli orgogliosamente rivendicare la propria autonomia e lucidità di pensiero intimando: “Non attribuite al mio stato quello che si deve al mio intelletto“. E ne sottolinea la valenza politica, facendogli dire: “Il mio cervello non concepisce masse felici fatte di individui infelici“. Infine identifica nel poeta un precursore del Novecento nel collocare il dubbio al centro della conoscenza, così dicendo all’amata sorella: “Chi dubita sa, e sa più che si possa“. Quel che emerge inaspettatamente è una profonda affinità elettiva fra lo spettatore contemporaneo e Leopardi, un allineamento di anime, che il regista sa riesumare per portarlo all’altezza del poeta in tempi di bassezza.
Il giovane favoloso è un film dalla sensibilità postmoderna, che non ha collocato Leopardi fuori del suo tempo, né l’ha confinato nel suo tempo, ma come gli spetta, da immortale della poesia, in ogni tempo.
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INFORMAZIONI:
DATA USCITA: 16 ottobre 2014 GENERE: Biografico, Drammatico, Storico ANNO: 2014
REGIA: Mario Martone
SCENEGGIATURA: Mario Martone
ATTORI: Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Edoardo Natoli, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi
FOTOGRAFIA: Renato Berta
MONTAGGIO: Jacopo Quadri
MUSICHE: Sascha Ring, Gioacchino Rossini
PRODUZIONE: Palomar, Rai Cinema, Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC)
DISTRIBUZIONE: 01 Distibution PAESE: Italia
DURATA: 137 Min