di William Shakespeare
Traduzione e adattamento: Giorgio Albertazzi
Regia: Giancarlo Marinelli
Scene: Paolo Dore
Luci: Luca Palmieri
Costumi: Daniele Gelsi
Consulenza musicale: Davide Cavuti
Consulenza storico letteraria: Sergio Perosa
Produzione: Ghione Produzioni
Personaggi e interpreti:
Shylock: Giorgio Albertazzi
Porzia: Stefania Masala
Antonio: Franco Castellano
Doge: Paolo Trevisi
Bassanio: Francesco Maccarinelli
Graziano/Pretendenti: Diego Maiello
Jessica: Ivana Lotito
Job: Cristina Chinaglia
Lorenzo: Simone Vaio
Nerissa: Vanina Marina
I ancella: Alessandra Scirdi
II ancella: Erika Puddu
III ancella: Francesca Annunziata
Il mercante di Venezia, con la regia di Giancarlo Marinelli e Giorgio Albertazzi nel ruolo di Shylock, non convince. Dopo aver assistito al discutibile Mercante con Silvio Orlando al Teatro Goldoni di Venezia un mese fa, aspettative positive erano state riposte nei confronti di questa seconda versione. Marinelli, avvalendosi della traduzione e dell’adattamento di Albertazzi, sostiene che gli equilibri dei personaggi ruotino attorno all’invidia dell’ebreo per una gioventù ormai perduta, incarnata da Bassanio, Antonio e dalla cortese brigata, e all’odio di questi ultimi verso il vecchio usuraio, simbolo del tramonto esistenziale. L’idea è pure apprezzabile ma si perde in opinabili trovate che non rendono giustizia alla poetica del Bardo. Andiamo per ordine. Graziano diventa uno dei pretendenti di Porzia, mascherandosi prima da Marocco e poi da Aragona, quando in realtà egli non ha occhi che per Nerissa. Gli scrigni sono sostituiti da tre ancelle danzanti, vestite succinte, lasciando intendere come chi le scelga venga provato sessualmente dalle suddette. Il finale è completamente stravolto. Nel testo originale, l’agnizione avviene a Belmonte, con il perdono di Bassanio e Graziano, colpevoli di aver ceduto gli anelli agli sconosciuti avvocati, e la gioiosa festa nuziale. Nelle scelte di Albertazzi, invece, subito dopo il processo a Venezia, le due donne si rivelano agli amanti, scappando stizzite per l’infedeltà dimostrata da Bassanio. Insomma, la personale rilettura sacrifica le volontà di Shakespeare a un pessimismo che bene si confà all’anziano adattatore ma non alla scena, confermando ancora una volta come porre mano ai capolavori sia sempre azione rischiosa e richiedente una logica acuta.
L’unico plauso da riconoscere a Giancarlo Marinelli è quello di aver fatto un buon lavoro su alcuni interpreti, dimostrato dall’accademico Antonio di Franco Castellano, dal carismatico Bassanio di Francesco Maccarinelli e dallo spigliato Job en travesti di Cristina Chinaglia, fool trasformato in macchietta da commedia goldoniana che, sebbene incompatibile con la drammaturgia shakespeariana, tutto sommato risulta gradevole. La prestazione di Giorgio Albertazzi si rivela scadente, in quanto manca, a causa dell’età avanzata, oltre che della necessaria gestualità, di quell’elemento primario per l’attore che è la voce: le battute si comprendono a metà, il volume fa si che il recitato superi con difficoltà la metà della platea e la recitazione stagna in toni monocordi e piatti. La Porzia di Stefania Masala e la Nerissa di Vanina Marina non hanno lo spessore drammatico sufficiente per rimanere impresse nella memoria di chi scrive.
Le scene di Paolo Dore sono costituite unicamente da un misero ponte che svolge varie funzioni: casa di Antonio, abitazione di Shylock, Belmonte e aula di tribunale. Interessanti le luci di Luca Palmieri, sebbene si assestino su un livello elementare di utilizzo. Il commento musicale, su consulenza di Davide Cavuti, si adatta bene a uno sceneggiato televisivo più che a uno spettacolo teatrale. I costumi di Daniele Gelsi sono accurati nella forma e si uniformano alla mediocrità della produzione.
Applausi all’ingresso di Giorgio Albertazzi e consensi finali da parte del pubblico.