Alan Bennett colpisce ancora. Dopo lo strepitoso successo di “The History Boys” l’autore, con l’impudenza che gli è tipica, raddoppia mettendo in scena “Il vizio dell’arte”. In realtà l’arte è un pretesto per mettere in piazza in modo crudo ed esplicito i vizi di due artisti ultrasessantenni omosessuali che si ritrovano dopo molti anni. Le due vecchie glorie, prime donne insopportabili, cercano di esorcizzare la solitudine e il loro crepuscolo artistico con illusioni di gloria e poco ortodosse variabili erotiche. Wystan Hugh Auden il poeta, cinico e spregiudicato reclutatore di bei ragazzi marchettari, Il musicista Edward Benjamin Britten tormentato amatore pedofilo di giovinetti efebici. Utilizzando la tecnica del teatro nel teatro, ovvero le prove di uno spettacolo dal titolo “Il giorno di Calibano” personaggio succube tratto dalla “Tempesta” di Shakespeare. racconta l’incontro a Oxford di Britten, che sta scrivendo la sua opera Death in Venice, con Auden. Britten vorrebbe discutere del tema della pedofilia, trattato nel romanzo di Thomas Mann. Auden pensa invece che sia venuto per chiedergli di scrivere il libretto dell’opera. Dice infatti “Nella lirica le parole non servono a niente. (…) La funzione del librettista è a monte, perché paradossalmente, in quanto autore del testo, deve portare alla luce la musica. Il librettista è una levatrice…
Il vizio dell’arte (2009) è dunque incentrato sulle prove della suddetta commedia che ha per protagonisti gli attori Ferdinando Bruni nelle vesti del poeta e Elio De Capitani in quelle di Britten.
Durante la commedia gli attori entrano ed escono dai loro personaggi, litigano e commentano anche in maniera pesante le loro parti e discutono con il regista che interviene mentre l’assistente alla regia (la brava Ida Marinelli) cerca di riportare i litiganti nella realtà scenica. Anche l’autore presente in sala interviene contestando i tagli fatti alla commedia. Non possiamo dimenticare il Biografo che soffre il suo ruolo di secondo piano e cerca qualsiasi espediente per rinviare la fine dell’opera con la speranza di avere parte del successo. E’ lui dunque il Calibano il personaggio della Tempesta che non riesce mai ad emergere, l’uomo in grigio destinato a vivere all’ombra di altri, che non vedrà mai il proprio nome scritto in caratteri cubitali. Alan Bennett è un grande conoscitore dell’animo umano; nessuno come lui è capace di mescolare con arguzia vita e arte, teatro e sesso.Bel testo, commedia graffiante, ironica che diverte solo in apparenza, in realtà fa sorride amaramente, commuovere e riflettere. L’occhio di Bennett è implacabile, non crudele, la sua scrittura narrativa è brillante e svelta.
Il grande successo dell’opera è dovuta a una serie di protagonisti. Del testo abbiamo detto, continuiamo con Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che, oltre a curare la regia, hanno impostato in modo molto realistico le scene di un set teatrale di prove, e ancora con i bravissimi attori che, assieme ai due mostri sacri (lo dico in modo serio) Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, hanno perfettamente aderito ai duplici personaggi: Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocana, Vincenzo Zampa, Michele Radice, Matteo De Mojana. Belli i costumi di Saverio Assumma, funzionali le luci di Nando Frigerio e il suono curato da Giuseppe Marzoli.
Applausi!!