Silenzio. Omertà. Latitanza. Paura. Impulsi, questi, che nello spettacolo di Aldo Rapè, andato in scena al Teatro Pubblico di Casalecchio, si possono riassumere con la parola che dà il titolo all’opera “MUTU”. Mutu non è solo un termine dialettale ma è una condizione di vita, intrisa di solitudine e di scelte non sempre volute anzi, più spesso dettate dal destino, dalla sorte, dal luogo in cui si è nati. Ed è proprio il silenzio di cui sono vittime i protagonisti, e la profonda solitudine che porta con sé, che attanaglia lo spettatore della pièce scritta e interpretata da Aldo Rapè. Paradossalmente il pretesto è quello di un incontro: due fratelli si ritrovano, dopo dieci anni, e si raccontano in un viaggio nelle loro vite tra presente e passato. Ma questo incontro mette in luce la condizione in cui sono imprigionati Salvuccio e Rosario, uno prete e l’altro mafioso che, ripercorrendo la loro storia personale, tracciano un solco per affrontare temi molto più importanti come quello della mafia e della chiesa, di un certo tipo di chiesa, collusa e complice.
La scena è scarna, pochi oggetti la adornano: una brandina, della cassette che fungono da tavolo e sedia, degli scatoloni di una marca di sigarette e una radio. Sullo sfondo, sempre illuminato, un abito gessato che viene subito identificato come la tipica “divisa” del mafioso. Sì, perché gli abiti in questo spettacolo sono importanti, catturano i protagonisti e li ingabbiano in un sistema dal quale non riescono a liberarsi. Rosario, con il suo completo gessato pronto per essere usato alla prossima occasione, ripercorre insieme al fratello la sua vita costellata di vittime, di morte, di omissioni. “mutu… mutu cumu nu pisci!”: questo è il suo slogan, questo il leitmotiv di tutta la sua esistenza. Anche il fratello, Salvuccio, ha scelto una divisa per proteggersi dal mondo. Lui ha scelto di diventare prete, di fuggire a un destino segnato, fatto di regole non scritte per mettersi dentro un sistema in cui le regole sono ben precise, le prediche preconfezionate e l’ipocrisia, sempre presente, ha un altro colore e sapore.
I due fratelli si scontrano in un j’accuse reciproco che non coinvolge solo le loro persone, ma il ruolo che ricoprono nella società. E così Salvuccio, protetto dalla sua tunica nera, può accusare il fratello, ma anche il padre e la madre, di aver scelto la strada della corruzione, dell’acquiescenza, del silenzio. Silenzio che non accetta più e in un crescendo di emozioni e sensazioni che lo portano a spogliarsi della sua tunica-corazza Salvuccio rimprovera il fratello di continuare, come i suoi genitori, a giocare una stupida guerra che non porta a nulla se non a morte, distruzione e isolamento. Ma Rosario non incassa le critiche del fratello e, a sua volta, ammonisce l’istituzione che rappresenta, la chiesa appunto. Perché Rosario l’ha pregato tanto quel Dio di cui il fratello porta ambasciata nel mondo, ma mai ha ricevuto risposta. Perché in processione era lui a portarlo sulle spalle mentre sotto, come la santissima trinità, sfilavano, insieme, il politico, il prete e il mafioso. Perché è facile riempire di belle parole gente disperata e pronta a credere a qualsiasi cosa quando si ha la pancia piena, le vesti lussuose, e i gioielli in bella mostra. Rosario che proprio dopo aver ucciso un prete si è rinchiuso in casa per il dolore. Rosario che non vuole più uccidere anche perché sa chi deve essere la sua prossima vittima: suo fratello.
Salvuccio preferisce la morte al silenzio e, forse, vuole sgravare Rosario da quel terribile peso che porta nel cuore così, sulle note di “E lucean le stelle” della Tosca di Puccini, prende la pistola del fratello e si toglie la vita.
Aldo Rapè attraverso un racconto sul vincolo di tacere rompe il silenzio e decide di parlare. Lo scontro-incontro di questi due fratelli, in un climax intriso di ricordi, rimproveri e commozione, non può lasciare indifferente lo spettatore, costretto a tornare a casa portandosi dentro il conflitto tra questi due universi, la mafia e la chiesa, le lacune di una società malsana e la profonda sofferenza che si cela dietro la solitudine.
MUTU
scritto da Aldo Rapè
con Aldo Rapè e Marco Carlino; regia Lauro Versari
Dove: Casalecchio di Reno (BO) c/o Pubblico | Il Teatro di Casalecchio di Reno
Indirizzo: piazza del Popolo n. 1
Quando: 21 novembre 2014, ore 21.00
Contatti: Biglietteria: 051.570977 – Uffici: 051/573557 – Fax: 051/590929
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