da Amleto di William Shakespearecon Arturo Muselli, Margherita Romeo e Alessio Sicaregia Ludovica Rambelliproduzione Fondazione Salerno Contemporanea – The Hats Company
Un vero gioellino è andato in scena a Sala Assoli, il martedì ed il mercoledì di tutto novembre; un testo curato e recitato da “The Hats Company”, una giovane compagnia che – a suo dire – cerca di compiere un’impresa apparentemente impossibile, recitare Shakespeare nella sua lingua originale e al contempo rendendola immediatamente comprensibile al pubblico.
Detto così, pare realmente un’ipotesi improbabile ma, dopo aver visto “Wrong play, my lord”, non si può non essere ammirati dal lavoro che gli attori e la regista hanno eseguito.
Tre attori e una scena assolutamente minimale, una panca sulla quale troneggia una Gertrude “dark lady”, un drappo rosso, una tela bianca, una poltroncina. Non è per ragioni casuali la riduzione degli attori; perché “play” come suggerisce il titolo non si riferisce soltanto all’opera, ma al gioco dell’illusione scenica che in tale contesto è compita e leggiadra, briosa quasi quanto un vero gioco per bambini.
Alessio Sica è l’unico attore che resta Amleto (o quasi!), mentre Arturo Muselli cambia continuamente ruolo (Orazio, Claudio, Laerte, Polonio) e ad ognuno dei quali aggiunge un vezzo, una caratteristica originale che sia linguistica o ornativa, per esempio Polonio, padre di Ofelia, indossa un copricapo russo e ha l’accento slavo. E poi c’è Margherita Romeo che si alterna nel vestito nero e bordeaux di Gertrude e in quello bianco di Ofelia, colore che ammicca ironicamente al suo stereotipo, qui invece indossato da una fanciulla poco reticente riguardo all’amore.
Tutti e tre null’altro che saltimbanchi che giocano a recitare l’Hamlet, un enorme librone posto sulla panca ma, attenzione, all’interno c’è anche il Macbeth, quindi non si sorprenda nessuno se Amleto si ritrovi a recitare i versi dell’altra opera, o se volete, di altre, confondendo Amleto con Macbeth, Otello, Romeo… ma poi lo show deve andare avanti, le regole del gioco implicano che Hamlet vada recitato sino alla fine. E ci riescono. Riescono cambiando rapidamente scene, saltando da un atto all’altro, sempre nella scatola magica di Elsinore o semplicemente del palcoscenico stesso.
Una dimensione certo metateatrale che assolve metaforicamente alla funzione del gioco. Si gioca con Shakespeare, per di più nella sua lingua, e perché sia del tutto fruibile, “The Hats Company” non riscrive la tragedia del grande bardo, ma sviscera le sue parole, la sua poesia, ne riprende i passi, restituendo al pubblico quella patina di “commedia dell’arte” o spesso di farsa che, se vogliamo, non è mai estranea alla scrittura di Shakespeare. Il pubblico ride con “Wrong play, my lord” come a Londra rideva quello che assisteva ai suoi lavori, quando c’era della commedia o del comico; perché egli non scriveva solamente per la Regina né per i suoi pari, ma era il popolo che riempiva il Globe.
Alcuni potrebbero pensare alla messa in scena di Ludovica Rambelli come ad una semplicistica soluzione per le scuole, ma di semplicistico non vi si trova nulla; dietro la leggerezza di un abilissimo gioco metaletterario e metateatrale¸ c’è una drammaturgia che riusa la lingua originale esponendola a curiosissime incursioni dialettali, o a brevi parentesi “metalinguistiche” in cui si dipanano i misunderstanding sfruttando abilmente il testo originale e i suoi suoni, colonna portante di uno spettacolo che si avvicina al suo pubblico, anche attraverso delle interazioni.
Ludovica Rambelli dirige i tre attori in maniera deliziosa e attraverso i ruoli molteplici di Muselli e l’alternarsi fra Ofelia e Gertrude di Margherita Romeo, tutto scorre armoniosamente in poco più di un’ora.
“Wrong play, my lord” non è, a nostro parere, soltanto una riproposta originale di un classico, può essere invece visto come una prova di scrittura drammatica autonoma non di certo da elogiare solamente per la fluidità e l’immediatezza della lingua inglese, ma soprattutto per come si costruisce man mano la coerenza di un’azione originaria, mai confusa o appesantita dalla compenetrazione di elementi comici e farseschi. Sono essi delle brillanti soluzioni rocambolesche che ci si inventa facendo finta di essere ad Elsinore.