Un ‘Amleto’ – scritto da Shakespeare (Stratford-upon-Avon 1564 – 1616) tra il 1600 e il 1602 e interpretato dal duttile e poliedrico Corrado d’Elia che dell’arte del recitare è padrone abile, capace e divertito – in jeans ridotto a un’ora e quindici minuti circa di rappresentazione (rispetto alle oltre quattro ore dell’originale) con nove personaggi (rispetto ai più di trenta) in abiti moderni quello argutamente progettato e diretto da d’Elia (che nell’ambito di un percorso con la Compagnia Teatro Libero porta in scena Shakespeare rivisto in chiave contemporanea) facendone più un teatro della memoria che una pièce tradizionale: un dilettevole piacere per le giovani generazioni (che comunque è bene conoscano la vicenda per goderne al meglio) abituate al mordi e fuggi, ma anche per chi meno di primo pelo vuole curiosare nel nuovo senza perdere di vista il passato.
Un ricordo frammentato e spezzato più che un racconto omogeneo quello che fluisce dalla mente di Orazio, amico prediletto di Amleto, che nello spettacolo non compare se non nell’invocazione finale del protagonista morente che lo implora di serbare memoria della sua storia e delle sue sofferenze: in questa chiave all’interno di una stanza (senza uscite apparenti), che ricorda i muri di pietra di un antico maniero e la cinta difensiva di Elsinore (capitale della Danimarca in cui il drammaturgo inglese ambienta il dramma), si dipana la vicenda attraverso flash della memoria rapidi come fotogrammi di un film che ogni tot secondi lascia il posto a un accompagnamento musicale drammatico.
Eccoli comparire assolutamente ben definiti dal primo all’ultimo i personaggi in scena a cominciare dall’elegante e severo fantasma del padre (interpretato da un rigoroso Marco Biraghi), reale presenza o proiezione delle angosce di Amleto e dei suoi fidi, alla coppia regale (simpaticamente convincenti Giulia Bacchetta e Alessandro Castellucci) apparentemente immemore di com’è arrivata al potere e obnubilata dal piacere voluttuoso dei sensi, alla dolcissima Ofelia insieme al fratello (tenerissime le interpretazioni di Gaia Insenga e Andrea Tebaldi) vittime di un crudele destino insieme al loro padre Polonio (un valido Gianni Quillico), ai due compagni di studi di Amleto (ben resi da Marco Brambilla e Giovanni Carretti) e ora cortigiani timorosi di dispiacere all’autorità e fluttuanti ai limiti del paradosso.
Un mondo composito in cui rifulge per complessità e umanità Amleto, adolescente disperato in cui lo smisurato dolore si interseca con la vendetta e l’inazione e con una serie di interrogativi universali oltre alla finta pazzia che sovverte rapporti e relazioni: la sua interpretazione non solo varia a seconda del regista e dell’attore, ma anche dello spettatore, insomma un personaggio sfaccettato dalle infinite letture e come tale sempre moderno, forse il motivo fondamentale di un fascino intramontabile.