“E io dico No” è lo spettacolo che conclude l’Osservatorio sul presente dedicato alla legalità prodotto dal Piccolo Teatro. Il testo è il frutto dell’impegno di un gruppo di studenti dell’Università statale di Milano guidati da Nando dalla Chiesa che hanno elaborato il tema delle associazioni criminali (mafia, ‘ndrangheta). Sono curioso di vedere con quali modalità espressive la confezione drammaturgica – di fenomeni così conosciuti e già dibattuti – sarebbe riuscita a mantenere l’attenzione degli spettatori. La drammaturgia e la regia affidata a Marco Rampoldi con la collaborazione della brava Paola Ornati mi ha cancellato ogni dubbio. Lo spettacolo andava visto. Parlare della mafia nella declinazione di impresa mafiosa significa entrare nel cuore di una complessa struttura associativa criminale che assume e mantiene il controllo di zone, gruppi o attività produttive, attraverso l’intimidazione sistematica infiltrando propri “associati” in modo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che renda molto difficili le normali forme di intervento dello Stato. L’eccezionale impresa che il gruppo di studiosi e artisti sono riusciti a trasferire sulle scene quello che poteva essere la rimasticazione di vecchi argomenti, è dovuta alla commistione di linguaggi teatrali che hanno permesso la composizione di un bellissimo concerto di conoscenza ed emozioni. Direi anzi un bellissimo mosaico ottenuto con l’inserimento (colpo di genio) di frammenti di testi ricavati dalla letteratura. Tessere organiche al tema, che hanno accresciuto il tasso poetico del racconto Ne ricordo alcune: da I beati Paoli di Luigi Natoli (la leggendaria setta segreta di vendicatori-giustizieri), dal II libro dell’Eneide di Virgilio, da Le città invisibili di Italo Calvino, da I Promessi sposi di Alessandro Manzoni (la peste parola al bando che non si doveva pronunciare come il termine mafia), e ancora dall’Odissea di Omero.
Alla fine dello spettacolo (perché di spettacolo è giusto parlare) tutti abbiamo con convinzione gridato NO. Ma la dura realtà di questi giorni ci fa temere che la notte sarà ancora lunga. Mi riferisco alla “’ndragheta connection” romana dove lo stesso concetto di mafia rischia di perdere ogni senso all’interno di questo”Mondo di Mezzo”dove la metastasi corre subdola senza dolore, senza morti ammazzati. È la mafia sprezzante che ci accusa: “Potete assolvere voi stessi ma non potrete mai eliminarci finché non eliminerete la mafia che è in voi. La mafia è come l’oscurità, è dappertutto vive in simbiosi con il lato scuro che è in ciascuno di noi.” La mafia come l’Idra di Lerna?
Ritorniamo al Piccolo per applaudire tutti quelli che hanno messo le mani e l’intelligenza e la creatività nella messa in scena di quest’opera: a Marco Rampoldi per la regia a Marco Rossi per le scene, a Claudio De Pace per il disegno luci e, last but not least, ai cinque bravissimi attori (Flavio Albanese, Pasquale De Filippo, Gabriele Falsetta, Sergio Leone e Tommaso Minniti). Una domanda di genere: perché solo attori?