Lo spettacolo, scritto a quattro mani da Elda Alvigini con l’amica Natascia Di Vito, montatrice cinematografica, costituisce quasi un debutto rispetto a quello dei due anni precedenti. L’esigenza di sviscerare nuovi temi ha richiesto, infatti, una riscrittura della drammaturgia che sarebbe dovuta andare in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi, da novembre purtroppo chiuso per le spiacevoli vicende che hanno portato allo sfratto del Teatro Eliseo. Lo spettacolo è così ritornato nello spazio da dove era partito, quello della Cometa Off, con una ambientazione natalizia connessa alle date di programmazione, per la regia di La Leopelda.
Elda Alvigini entra in scena parlando al telefono, quasi inconsapevole di trovarsi sotto i riflettori. Il cellulare sarà il suo alter ego, coprotagonista inerte e messaggero di speranze e delusioni, al quale Elda costantemente rivolge la sua attenzione, appesa al sottile filo dell’attesa di un sms di risposta.
Per un’ora e mezza sviluppa il suo monologo, ammissione a voce alta dei propri fallimenti, delle aspettative, delle disillusioni, che appartengono a tutta la categoria delle figlie delle donne che hanno vissuto il ’68.
Bella, intelligente, colta, libera, affermata professionalmente e socialmente, è il prototipo della giovane quarantenne di oggi che vive la frustrazione di non avere una stabile vita sentimentale, il ricatto affettivo della madre che la fa sentire incapace e l’idealizzazione della figura paterna che le fa apparire ogni uomo inadeguato.
Partendo da uno spunto autobiografico, la Alvigini passa in rassegna l’infanzia e l’adolescenza fino ad oggi, ammettendo di non essere risolta in nessun campo della vita, scontenta di tutte le relazioni interpersonali: col figlio, la madre, il padre, le amiche, la psicoterapeuta, gli uomini. Le sue qualità sono inutili, i pregi non vengono riconosciuti, nessuno la apprezza.
Allevata da una madre fricchettona che la abbigliava come una piccola Inti-Illimano e un padre aperto e moderno, ha assorbito in famiglia i cliché della sinistra borghese, in cui l’ideologia si stemperava e si inseguivano i sogni e l’amore libero. Crescendo acquisisce tante capacità, ma restano confuse le idee sull’amore e sul principe azzurro, e fa scappare gli uomini, nonostante sia diventata una “vera figa”. Maldestri tentativi di instaurare una relazione consistono nel controllare con lo smartphone gli accessi sui social del malcapitato. Dovrà fare ancora molta strada per imparare ad amare e godere la vita, liberandosi dalle dipendenze: diventare cioè “utilmente figa”.
Possiede una sola certezza: non ripetere col figlio gli stessi errori di sua madre.
Riflessioni amare, ironiche e divertenti di una donna sopravvissuta a tutto, che vive in simbiosi col suo cellulare, paradigma della donna di oggi sempre in attesa di un sms o un post (quelle di ieri, più pragmatiche, aspettavano il principe azzurro).
Un plauso a Elda Alvigini, nota al pubblico televisivo nel ruolo della moglie di Max Tortora ne I Cesaroni, per la spietata sincerità con cui scarnifica le nevrosi che affliggono l’universo femminile della sua generazione e la spontanea naturalezza con cui le racconta.