Tratto dal romanzo “La Diva Julia” di William Somerset Maugham
Tradotto da Franco Salvatorelli e adattato per il teatro da Laura Sicignano
Regia: Laura Sicignano
Con Elisabetta Pozzi e Sara Cianfriglia
Scene: Laura Benzi
Costumi: Mariagrazia Bisio
Musiche originali: Matteo Spanò, Giacomo Gianetta
Luci: Tiziano Scali
Assistente alla regia e organizzazione: Marta Caldon
Assistente alle scene: Francesca Mazzarello
Assistenza tecnica: Luca Serra
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La regista Laura Sicignano la definisce “una storia ambigua” e spera che ognuna delle spettatrici riconosca una parte di sé, in questa “diva a pezzi”. Chi ha dimestichezza con la grande e altissima letteratura di William Somerset Maugham – versione inglese e raffinata del più stringato ma non meno spietato Simenon – sa che nessuno si salverà mai.
Nessuno dei personaggi è stato mai assolto o giustificato dalla penna di Maugham.
Si rendono tutti complici, sono tutti colpevoli, tutti figli dello stesso male di vivere che pervade e inchioda i protagonisti di Simenon.
Del resto è il ‘900, bellezza! e la nostra cara Diva ne è figlia e madre.
Bando alla compassione, quindi. Non ci commuove il corpo sfatto dell’attrice, la perdita del suo fascino e della bellezza, la sua solitudine, la sua vita di rinunce.
Perché, quando piange la Diva… recita.
Recita se stessa mentre piange.
Si chiede sempre in quale commedia o tragedia abbia mai pianto così o abbia mai detto colà. E si stupisce di aver addirittura superato se stessa, con una più grande, più intensa interpretazione!
Spietata cinica disillusa. Falsa, egoista, crudele.
Disperata, distrutta, finita. Sola, abbandonata, disperata.
Che differenza fa?
Le basterà una bella bistecca con le cipolle per affrancarsi dalla sofferenza.
Sì, vero, anche molte pastiglie, molti sonniferi… ma che sarà mai? Non le prendono forse tutti le pastiglie?
Che l’unica cosa veramente importante è andare in scena.
E qui viene il bello di una regia intelligente che fa brillare una già strepitosa Elisabetta Pozzi e ci regala una luminosa interpretazione di Sara Cianfriglia. La regista, Laura Sicignano, organizza uno spettacolo sulla soglia. Lo spettacolo inizia quando la Diva entra in scena. E quando entra in scena la Diva lo spettacolo teatrale si chiude.
La storia si dipana tutta dietro le quinte. La Diva è nel suo camerino e si prepara al nuovo spettacolo. Mentre lo fa rivive, con continui flashback, il corso degli eventi – reali, immaginati, allucinati – della sua vita.
Soprattutto dialoga con una serva muta, che è la chiave di volta di questo lavoro.
Perché tutto lo spettacolo verte su un’unica grande riflessione sul recitare. Volendo essere crudeli, per dirla alla Maugham, sul vivere.
Che poi è la stessa cosa.
La serva è muta, non risponde mai. La serva è un imperioso comando che non ammette replica: si va in scena.
E tutto, il dolore, il tradimento, il desiderio, il pianto, la gioia, tutto deve decantare nel corpo dell’artista e tributato, unico vero sacrificio estremo, alla sua arte.
Accompagna il tutto una overdose di revanscismo e di oltranza. Senza crudeltà e cinismo non si riesce ad aderire all’ideale che ci si è sognato addosso.
Con una finale toccante e terribile consapevolezza: che l’amore è la recita più grottesca.
Lo sa bene la Diva che, sfruttata da un marito impresario, non può far altro che invaghirsi di un giovane “capriccio” e mettere in scena la sconfitta della Diva incompresa e sfruttata dal giovanetto. Il quale, come esige il copione, sarà punito, scacciato e schiacciato.
Perché, la Diva conosce bene il gioco e lo spiega al suo amore: “Se non fossi stato ciò che rappresentavi, saresti soltanto uno qualunque”.