Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave con aggiunte e modifiche di Arrigo Boito dal dramma Simón Bocanegra di Antonio García Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Versione 1881
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Personaggi e interpreti:
PROLOGO:
Simon Boccanegra: Simone Piazzola
Jacopo Fiesco: Giacomo Prestia
Paolo Albani: Julian Kim
Pietro: Luca Dall’Amico
DRAMMA:
Simon Boccanegra: Simone Piazzola
Maria Boccanegra: Maria Agresta
Jacopo Fiesco: Giacomo Prestia
Gabriele Adorno: Francesco Meli
Paolo Albani: Julian Kim
Pietro: Luca Dall’Amico
Un capitano dei balestrieri: Roberto Menegazzo (22, 25/11, 4/12); Cosimo D’Adamo (30/11, 2,6/12)
Un’ancella di Amelia: Francesca Poropat (22, 25/11, 4/12); Andrea Lia Rigotti (30/11, 2, 6/12)
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Maestro concertatore e direttore: Myung-Whun Chung
Regia e scene: Andrea De Rosa
Costumi: Alessandro Lai
Light e video designer: Pasquale Mari
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del coro: Claudio Marino Moretti
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Il Teatro La Fenice ha inaugurato la stagione 2014/2015 con Simon Boccanegra di Verdi nella versione del 1881. Il melodramma è tratto dall’omonimo testo in cinque atti di Antonio García Gutiérrez, ispirato alle lotte tra le fazioni antagoniste della Repubblica genovese a metà del XIV secolo. Verdi adattò il Simón nel 1856 ma, quando andò in scena a Venezia l’anno dopo, fece fiasco a causa di alcune lacune del libretto e della partitura. Più tardi, nel 1879, il Maestro stava lavorando all’Otello e venne sollecitato dall’editore Ricordi a riprendere in mano il Simon. Verdi affidò quindi la revisione del libretto a Boito, che inserì ex novo la scena del consiglio al termine del primo atto, mentre sul cotè musicale vennero aggiunti ulteriori dettagli melodici, armonici e strumentali. Presentato alla Scala di Milano nel 1881, ottenne un discreto successo.
E’ opera verdiana tutta dominata dalle voci maschili, si pensi alle cupe vocalità dei bassi e dei baritoni nel Prologo, e con un’unica protagonista femminile. La vicenda è ricca di intrighi, agnizioni e colpi di scena, oltre che di morti – muoiono infatti la madre e la balia di Maria, Lorenzino, Paolo Albani e Boccanegra. Tema fondamentale è qui, come in Rigoletto e Nabucco, il rapporto padre-figlia, baritono e soprano: Boccanegra e Maria si riscoprono infatti parenti dopo venticinque anni. Eppure, il corsaro eletto Doge, se da un lato è il simbolo del buon politico, di colui che vuole risolvere con la pace e l’amore il conflitto sociale, dall’altro è un uomo tormentato da una struggente ansia esistenziale che continua pur dopo aver scoperto la vera identità di Amelia Grimaldi.
L’allestimento di Andrea De Rosa è, senza ombra di dubbio, riuscito e coniuga la tradizione, incarnata dai costumi di Alessandro Lai, con la modernità. Suggestive sono le scene, costituite da una nera e squadrata architettura centrale che diventa palazzo dei Fieschi, palazzo Grimaldi e Palazzo ducale, e un fondale su cui viene proiettato un filmato di diverse marine genovesi nelle varie ore previste dal testo, con un sincronismo drammaturgico perfetto: nel terzo atto, ad esempio, Boccanegra spira al tramonto sulla riva di quel mare che, solo alla fine, gli è stato concesso rivedere. Ad accoglierlo nell’aldilà sarà il fantasma della moglie Maria (il mimo Valentina Diana), in un toccante crescendo di emozioni che la musica contribuisce a sostenere. La regia si basa su movimenti abbastanza convenzionali e risolve i due snodi emotivi della scena del consiglio e della dipartita del protagonista in maniera egregia, grazie anche alle luci di Pasquale Mari, spingendo il pubblico verso una vera e palpabile catarsi.
Luci e ombre sul piano musicale. Simone Piazzola riesce egregiamente nella parte di Boccanegra. Classe 1985, calca la scena quasi con consumata esperienza. Possiede una voce omogenea e dal bel timbro caldo, usata sempre con cura e pulizia, che diventa leonina e tormentata nella dirompente scena del consiglio. Francesco Meli convince nei panni di Gabriele Adorno, sebbene a tratti anche lui, come altri membri del cast, ceda a inspiegabili cali di intonazione. E’ comunque un tenore generoso che raggiunge alti livelli in Pietoso cielo, rendila. Julian Kim veste i panni di un Paolo Albani dalla seducente voce d’avorio, adeguata per l’intrigante faccendiere, non sempre ben proiettata ma utilizzata nel complesso con coscienza e solida tecnica. Maria Agresta delude nel ruolo di Maria Boccanegra. Sebbene il soprano possieda una voce generalmente interessante, qui si rivela disomogenea, spesso non intonata e non pulita nel registro acuto, come dimostrato da alcune imprecisioni nell’aria d’ingresso Come in quest’ora bruna e nel finale del primo atto. Giacomo Prestia è un Jacopo Fiesco stanco che risente, tra tutti, di una problematica intonazione. Sottotono il Pietro di Luca Dall’Amico, forse più a suo agio nel repertorio rossiniano, il capitano di Cosimo D’Adamo e l’ancella di Andrea Lia Rigotti.
Il coro, diretto dal maestro Claudio Marino Moretti, si distingue per la buona prestazione delle sezioni femminili, mentre più scostante si rivela quella delle maschili.
Myung-Whun Chung dirige l’Orchestra del Teatro La Fenice con piena conoscenza delle volontà drammaturgiche e musicali di Verdi, come già aveva dimostrato nell’Otello inaugurale della passata stagione, riuscendo a riempire del giusto pathos gli snodi salienti del dramma per ridonare al pubblico l’autentica grandiosità del linguaggio verdiano.
Ovazioni e applausi per Piazzola, Meli e Chung.