Gabriele Lavia rilegge e porta in scena al Piccolo Teatro Grassi il dramma “Sinfonia d’autunno” che Ingmar Bergman adattò per il teatro dall’omonimo film con Ingrid Bergman a Liv Ulmann.
Il dramma è ambientato in una canonica di un piccolo paese svedese dove le belle scene di cupa freddezza curate da Alessandro Camera e le immobili figure del pastore (Victor) e della moglie (Eva) anticipano il freddo dell’anima, l’algido sviluppo di quel che accadrà, la solitudine e la tensione emotiva che si percepisce prima ancora delle parole. Assieme alla coppia vive Helena sorella di Eva obbligata a vivere su una sedia a rotelle che soffre l’incapacità di esprimere le proprie emozioni.
Due donne si incontrano dopo sette anni. La madre (Charlotte) celebre pianista viene a far visita alla figlia – troppo a lungo trascurata – esibendo un bagaglio di certezze e di egoismo e un profondo e conclamato deficit di sentimenti. È una madre assente, ingombrante, egocentrica. La figlia (Eva) è introversa, dolorosamente legata al ricordo di un’infanzia senza amore fatta di costrizioni, ad un matrimonio senza passione e alla recente perdita di un figlio. È una ricognizione esistenziale di due personalità strutturalmente opposte che cercano, ma non riescono ad amarsi e la cui resa dei conti non può essere procrastinata. La commedia si basa dunque sul contrasto fra queste due opposte polarità.
Charlotte, egocentrica e superficiale pensa di assolversi dai rimorsi regalando alla figlia abbracci estemporanei e formali. Eva, affetta da un forte complesso di Elettra, sembra svegliarsi da un torpore mortale e non ricambia le attenzioni. Provocata dalle finzioni della madre i freni culturali mollano, la residua maschera del formalismo cade e i problemi vengono fuori senza ritegno. È un fiume carsico di sentimenti e rancori repressi, frustrazioni, nevrosi, egoismi, sopraffazioni patite, invidie accumulate. Una situazione che riflette lo stereotipo dell’incomunicabilità, dell’incomprensione, dell’incompatibilità. L’eroe positivo è senza dubbio il Pastore Victor marito di Eva che si dichiara uomo senza certezze, uomo discreto che si accontenta dell’affetto della moglie pur sapendo di non essere amato.
Ingmar Bergman ci offre ancora una volta un’analisi psicologica penetrante e sofferta nell’angusto universo domestico senza avanzare giudizi. “Sinfonia d’autunno” è una pièce ricca di simboli costruiti attorno alla personalità delle due donne. È evidente l’uso simbolico del colore nei vestiti delle due donne e quello degli interni della casa dove si consuma il dramma.
La morte fa da sfondo a questa commedia che soffre però di un eccesso di monotonia per niente attenuata dal mediocre, scontato simbolismo del rimbombare di tuoni..
Anna Maria Guarnieri offre una grande prova attorale, la sua Charlotte è perfetta nell’esprimere quel conflitto interiore fra l’artista egocentrica e il sentimento materno che non riesce ad emergere. Molto brava Valeria Milillo che interpreta il ruolo della figlia Eva in modo sofferto, rigoroso, essenziale. È apprezzata la compostezza e la bella voce di Danilo Nigrelli e le sofferte espressioni e le dolenti posture della brava Silvia Salvatori nelle vesti di Helena. Belli i costumi di Claudia Calvaresi, funzionali le musiche di Giordano Corapi, ottimo il disegno luci di Simone De Angelis.
Del dramma, il regista Gabriele Lavia dà un’interpretazione scenica molto intensa ed essenziale al punto di obbligare sia Charlotte sia Helena a far scorrere le mani su una virtuale tastiera di un pianoforte inesistente.