di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice con la regia di Massimo Romeo Piparo
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Bagno di pubblico al Teatro Rossetti di Trieste, ovazione generale ed applausi scroscianti alla prima di quella che da sempre viene considerata una delle pietre miliari dei musical. Sicuramente tra le più discusse e controverse opere di teatro e di cinema, Jesus Christ Superstar ancora oggi ad oltre 40 anni dalla sua realizzazione, emoziona, stupisce e rapisce il pubblico con le sue musiche ed i balli travolgenti. Scelta vincente quella di posizionare l’orchestra di 12 elementi, diretta da Emanuele Friello, direttamente sul palco come per un perfetta fusion tra le note delle musiche, i passi delle danze e le emozioni interiori. Quando le luci si spengono e comincia il primo attacco di chitarra una intera generazione viene catapultata nel ricordo della visionaria opera dei geniali Andrew Lloyd Webber e Tim Rice ed il pubblico più giovane rimane rapito dalla grandiosità del musical. Apparentemente semplici le scenografie di Giancarlo Muselli, elaborate da Teresa Caruso, ed assolutamente funzionali alle coreografie di Roberto Croce su cui ballerini, giocolieri e mangiafuoco danzano ed animano i controscena. Calda e penetrante la voce dell’interprete di Giuda, Feysal Bonciani, che ben si calza nel narratore e suo malgrado co-protagonista designato a vendere la vita del figlio di Dio. Sorprendenti le sonorità e le vocalità dei due interpreti della Maddalena, Simona Distefano, e di Simon Pietro, Claudio Compagno: dolce ed appassionata lei, potente e sicuro lui. Ben calibrati i giochi di luce di Umile Vanieri ed il suono di Luca Finotti, magistrali le caratterizzazioni di modernità introdotte dalla regia di Massimo Romeo Piparo. Piparo è stato il primo, nel 1994, a mettere in scena il musical sui palcoscenici italiani, giusta e pensata la scelta di attualizzare questa edizione di Jesus Christ Superstar (semmai ce ne fosse stato bisogno) durante la scena delle frustate a Gesù con la proiezione delle immagini dei martiri moderni: Falcone, Borsellino, Gandhi, Che Guevara, i deportati dell’olocausto. Cosa dire di Ted Neeley: quando compare in scena è tutto un pubblico che freme ad accoglierlo; lui il primo interprete di Gesù nella versione originaria di Jesus Christ Superstar. È un applauso vivo e palpitante, l’emozione prende il sopravvento e ci si accorge che si sta partecipando ad un evento. A distanza di quattro decenni il carisma è inalterato, la postura immutata e la voce, sicuramente più scura e graffiante, non è più quella del cantante rock della beat generation ma quella dell’inveterato interprete heavy, come se il giovane Neeley da hippy fosse maturato all’interno dell’opera che ne ha fatto un’icona della canzone rock di ogni tempo. Il pubblico lo applaude, lo omaggia e dopo lo spettacolo fa ore di fila per poter avere un suo autografo e potergli stringere la mano. Quando entra, preceduto da un Giuda disincarnato e vestito di bianco, dal fondo del teatro in platea, procedendo con passo lento e volto scavato e sofferente, ancora una volta Ted Neeley ci da prova della sua bravura. Assistere a Jesus Christ Superstar non è semplicemente godersi due ore di spettacolo vero, nel senso più pieno del termine, ma è un prendere parte ad una vicenda che nella sua perenne attualità accompagna ogni spettatore nella storia del teatro musicale.