È scritto con la penna intinta di nostalgica poesia ammantata di pudore, questo lavoro che Claudio Boccaccini porta in scena come autore, interprete e regista, dedicato alla storia di Salvo D’Acquisto e di suo padre.
Sale sul palco dalla platea dicendo di voler fornire qualche informazione preliminare, come spesso fa da regista presentando gli spettacoli. Con tono colloquiale inizia a raccontare aneddoti familiari e personali, di sé bambino di 7 anni nel 1960.
Ne emerge un quadro domestico, emblematico dell’epoca del primo benessere economico, in cui la famiglia è stretta intorno ai suoi valori fondanti, i genitori emanano autorevolezza, i figli sono sottomessi, la figura paterna è sempre immanente, pur se assente fisicamente.
Il cortile del caseggiato a Torpignattara, nella periferia di Roma, era il microcosmo del piccolo Claudio che giocava con i coetanei, il portiere vigilava dalla guardiola e le madri lanciavano dalle finestre ai loro figli i panini imbottiti della merenda. La domenica la gita al mare carichi di vettovaglie con la mitica NSU Prinz, il sabato sera davanti ai pochi televisori esistenti nel condominio per seguire “Il Musichiere” di Mario Riva. Era questo il mondo dei grandi che cominciava ad assaporare il benessere che investiva l’Italia del dopoguerra, culminante nell’evento rappresentativo della raggiunta stabilità economica: il trasloco in una casa più grande e funzionale, primo strappo da un contesto rassicurante e protettivo, nuovo crinale di crescita. Guida, riferimento, esempio, il padre Tarquinio era un uomo che incuteva rispetto e timore, poderoso campione di boxe capace di gesti di profonda umanità.
La vicenda biografica della famiglia si dipana sul leit motiv “i gesti valgono più delle parole” come un insegnamento didattico dispensato a giovani studenti. E proprio nelle scuole Boccaccini ha rappresentato questo lavoro, monito per le nuove generazioni alle quali trasmettere con l’esempio i valori di generosità, altruismo, solidarietà.
Spassoso e irresistibile nel descrivere i tipi umani e le situazioni contingenti, indulgendo a tratti nella cadenza romana e nelle espressioni gergali, Claudio Boccaccini suscita risate incontenibili.
Poi, dolcemente vira nella rievocazione di un evento drammatico della storia del nostro Paese. Drammatico sì, ma intriso di grande umanità e valenza civile, al quale ci conduce descrivendo momenti intrisi di lirismo.
Il piccolo Claudio un giorno scopre la foto di un carabiniere nel portafoglio del padre e ne rimane incuriosito. Dopo qualche tempo, il padre in una nuvola di fumo “da uomo a uomo” gli rivela che senza quel carabiniere lui non sarebbe nato. Nel ’43 Tarquinio aveva fraternizzato con il coetaneo Salvo D’Acquisto, vicebrigadiere della caserma dei carabinieri di Torrimpietra, dove il padre Luigi era il fattore della tenuta,. Riservato e timido, il giovane napoletano frequentava le balere con gli amici, ma non beveva, limitandosi ad alzare un immaginario calice.
Il 23 settembre le SS catturano 22 persone tra cui Tarquinio, da fucilare per rappresaglia dopo la morte di due soldati tedeschi in un’esplosione. Il ventitreenne carabiniere si autoaccusa salvando loro la vita, compiendo il destino scritto nel suo nome: da Salvo a Salvatore. Tarquinio vede l’amico che lo saluta con il solito gesto d’intesa. È l’ultimo dell’eroico ragazzo. Il resto è storia.
Sottolineano i passaggi più incisivi le musiche originali di Maurizio Coccarelli e le canzoni degli anni ’40-’50 come Parlami d’amore Mariù.
Grazie a Claudio Boccaccini per averci fatto ridere e commuovere con totale coinvolgimento, genuina passione ed acuta sensibilità.
Il testo, pubblicato dalla casa editrice La Mongolfiera, è in vendita presso la biglietteria all’uscita dallo spettacolo.