«Forse non ti amerò per sempre, ma finché avrai le stelle sopra di te non devi dubitarne, ti renderò certa di questo. Solo Dio sa cosa sarei senza te». Ora le cose sono, almeno, due: una canzone che inizia con un testo così è la dichiarazione d’amore più bella che si possa fare, aldilà di qualsiasi sesso. L’altra è che il pezzo si chiama “God only knows”, hit dell’album “Pet Sounds” dei Beach Boys, l’anno è il 1966. Uno dei peggiori della storia di Firenze, ma la musica aiuta, anche a otto anni.I ragazzi della spiaggia, quelli che hanno inventato il surf sound, canzonette, direbbe qualcuno. Come quelli che dicono che i Led Zeppelin hanno dato vita solo all’hard rock, trascurando il fatto che, essi Led Zeppelin, hanno contaminato il rock con il blues nero degli anni ’30 (scopiazzando il blues delle piantagioni, ma non farei il sofista), il reggae, la dance e sconfinando persino nella world music.Ma torniamo a “Pet Sounds”: è l’undicesimo album dei Beach Boys, ma l’LP (long playing, 33 giri sul giradischi) è unanimemente riconosciuto come uno degli album più influenti della storia della musica pop e persino precursore del periodo psichedelico. I Beatles hanno confessato che senza “Pet Sounds” non ci sarebbe stato “Sgt Pepper’s”, qualcuno si addentra addirittura nell’ipotesi che nemmeno “The dark side of the moon” avrebbe visto la luce.
“Pet Sounds” è stato spesso posto nelle prime posizioni di numerose classifiche di tutti i tempi, come in quella del Times, oppure in quella redatta da Rolling Stone, dove l’album si trova al secondo posto all time.
Il genio si chiama Brian Wilson, la mente dei ragazzi di spiaggia; i due fratelli, i cugini e l’amico più stretto sono sempre stati gli strumenti della sua genialità, spesso messa a rischio dal suo stile di vita, dalla sua contaminante bipolarità che, ad un certo punto, gli impose persino di rifiutare di esibirsi in pubblico. Ma lo aiutò a concentrarsi sulla scrittura e la registrazione dei brani, sperimentando strumenti insoliti, in quell’epoca dell’era pop e del “surf”, come campanelli di biciclette, clavicembali, flauti, il theremin e l’abbaiare dei cani. Arrivando ad arrangiare un brano tradizionale, “Stop Johnny B.”, che diventerà uno degli inni della lotta contro la guerra nel Vietnam. Mentre registra “Good vibrations”, che non sarà inserita in “Pet Sounds”, ma che arriverà al primo posto nella chart inglese, spodestando i Beatles.
Qualche settimana fa un mio amico dj di una nota radio nazionale mi manda un messaggio: “BBC Music, god only knows”.
Eseguo le istruzioni, trovo un video su YouTube, creato per lanciare un canale tematico sulla musica, tutta la musica, di una tv di stato, quella britannica, poiché anche loro, i britannici, pagano il canone, ma non hanno la politica negli ingranaggi della tv.
Lo guardo, rapito dalla melodia di questa stupenda canzone dell’altro ieri, cantata da chi c’era l’altro ieri, ieri, oggi, domani e nel futuro, mescolata con l’orchestra sinfonica e la splendida violinista di “Britain’s got talent”.
La fotografia quasi fiabesca, il gioco nel riconoscere ogni performer (fatelo anche voi, è divertente), qualche lacrima che scende per l’emozione di tale bellezza, abbinata da quelle note uniche, o forse, di una sensibilità musicale che lava via i pensieri più neri, o forse li porta alla luce, distruggendoli. Magari solo perché una splendida tigre balza sul pianoforte di Brian Wilson, l’unico sopravvissuto dei suoi fratelli. Con un po’ di invidia.
Invidia per un paese la cui rete televisiva nazionale si adopera in un modo così alto per presentare solo un canale tematico, di musica per giunta. Certo il mercato discografico britannico non è mai stato minimamente paragonabile con quello nostrano, per cui le star non fanno certo fatica a prestare la loro voce e il loro volto, lì aldilà della Manica. Per non parlare delle polemiche che, nel caso che a qualche funzionario RAI potesse venire in mente di replicare un’esperienza del genere per lanciare un canale musicale della tv di Stato (che qui ancora non esiste), porterebbero come minimo ad un’interrogazione parlamentare.
Però, poi, ripenso alla mia adolescenza e a una trasmissione radiofonica della quale uno dei suoi jingle recitava: “No, non è la BBC, questa è la Rai, la Rai ti-vi”. Loro lo sapevano che quella trasmissione era da BBC. Era diversa, come eravamo diversi noi, e lo erano pure gli autori, piano, piano, forse, assoggettati dalla vile pecunia oppure dalla certezza che un’orchestra italiana dà meno grane.
Ripenso, da quasi adulto, ad una trasmissione dello stesso autore, questa volta televisiva, dove trovavi Armando De Razza con “Esperanza de escobar” ma anche il Pat Metheny Group e “The First Circle”.
Invidia, sana invidia per un paese che non amo molto; in fondo, loro, i britannici, sono sempre stati dei colonizzatori, anche nella musica, ma dove le auto si fermano sulle strisce pedonali, dove l’autista di un bus (ammetto, loro guidano più bassi) sporge il suo braccio per farmi accendere una sigaretta oppure un altro che ferma il mezzo perché si accorge che i due anziani coniugi indiani, che gli avevano chiesto informazioni, stavano andando nella direzione sbagliata. Allora, l’autista lascia il bus fermo alla fermata, si alza dal suo posto di guida e dice alla coppia di vecchi coniugi indiani di andare dalla parte opposta. Loro ringraziano, lui sorride e noi passeggeri rimaniamo tranquilli, composti nelle nostra silenziosa approvazione. Insieme alla mia meraviglia. Mentre ripenso, adesso, a quel controllore che, sull’11, fa finta di nulla vs una donna locale, giovane e carina, che non paga il biglietto, ma poi fa il kapò con il solito immigrato che, anche lui, non paga il biglietto. Forse è solo una questione di autobus.
Allora la cosa più semplice è cliccare sul link, buona visione a tutti.
For the love of music, in qualsiasi formato, in qualsiasi epoca.