di Giuseppe Patroni Griffi
regia Fabio Grossi
con Eugenio Franceschini
e le apparizioni di Sergio Maschera
e Andrea Giuliano
e con l’apparizione speciale di Paola Gassman
video Luca Scarzella
musiche Germano Mazzocchetti
disegno luci Umile Vainieri
risoluzione scenica Luca Filaci
disegno audio Franco Patimo
regista assistente Mimmo Verdesca
—-
produzione Teatro di Roma in collaborazione con Teatro Eliseo e con Fuxia Contesti d’immagine
“Prima del Silenzio” ci sono le parole. Parole che sono vita per un poeta deluso, che ha sempre vissuto in bilico tra la libertà che solo la poesia poteva dargli e la prigionia di una famiglia dalla mentalità fin troppo borghese.
Parole che sono rumore per un ragazzo in cerca di qualcosa che non sa spiegare, perché il suo vocabolario interiore non può esprimersi a voce.
Due fuggiaschi, sopravvissuti al proprio passato e desiderosi di esprimere se stessi.
Due generazioni che si confrontano fino a scoprire di non avere niente in comune, se non il desiderio di fuggire dal mondo.
Una fuga che per il poeta ha una meta ben precisa, trasmettere se stesso all’altro, così che le sue parole possano forgiare la mente giovane e vivace del suo coinquilino lasciandogli una sorta di eredità spirituale e creativa, che permetterà al poeta di continuare a sopravvivere al di là della morte fisica, perché le parole sono vita e creano vita.
Una fuga che per il giovane è motivata dal desiderio di trovare l’essenza stessa del vivere nelle esperienze che il presente gli offre, giacché dopo la morte non si è più nessuno.
In scena al Teatro Metastasio di Prato, il testo scritto negli anni ’70 da Giuseppe Patroni Griffi, ritorna attuale nello spettacolo di Fabio Grossi, che, attraverso una scenografia scarna ma allo stesso tempo ingombrante, permette di entrare nella psiche del poeta, interpretato dall’eccezionale Leo Gullotta.
Solo un divano rosso spicca al centro del palco.
I pannelli neri sullo sfondo non sembrano rappresentare i muri della stanza ma piuttosto le pareti dell’inconscio del poeta, su cui, nei momenti di delusione, vengono proiettate le figure della moglie, del maggiordomo e del figlio. Ed ecco che subito la scena si fa ingombrante e soffocante proprio a causa di queste tre figure così invadenti, che sembrano rigurgitare sul poeta tutto ciò da cui lui è sempre fuggito: una mentalità schiava della società, del lusso, di un pragmatismo fine a se stesso, di una vanità che uccide la bellezza stessa della vita.
Tutto lo spettacolo è un lungo monologo, giacché i due protagonisti comunicano ma non si comprendono e il fallimento inevitabile si esprime in un ritorno alle proprie convinzioni: il ragazzo, interpretato da Eugenio Franceschini, riprende la sua strada, mentre il poeta tenta di catturare le lettere, che come pioggia cadono sopra di lui, per fonderle e dare vita ad esse attraverso le parole.