Al momento di comporre Notturno di donna con ospiti, Annibale Ruccello deve aver voltato lo sguardo verso il cinema d’autore, il cinema di Polanski e Hitchcock, se è vero, come è vero, che le atmosfere dell’opera rimandano a quelle dei due maestri della pellicola. Notturno di donna con ospiti è la storia della povera, diremo noi, Adriana Imparato, donna dimenticata nel cuore di una periferia buia e severa, alle porte di Napoli. Costretta ad una notturna solitudine a causa del lavoro del marito, Adriana conduce un’esistenza lontano da ogni calore. Di quello coniugale, che è solo primitivo desiderio, la donna non può certo godere, ché altrimenti l’opera finirebbe così, in un batter d’occhio. Altrettanto possiamo dire della famiglia d’origine, ché Adriana non vi trova alcun riparo: la morte del padre ha finito per lasciarla alle cure di una madre inflessibile, della quale la povera donna è vittima prescelta. Capiremo così perché, in una notte come tante, sotto i singhiozzi di un pianoforte che suona senza tregua, con i due figli che dormono al caldo ed il terzo, al sicuro, nel grembo, Adriana impazzisca o, meglio ancora, si lasci impazzire, permettendo ai propri desideri ed alle proprie paure di prendere vita e voce. La tragedia prende corpo: due ospiti arrivano d’improvviso a rompere la monotonia di una vita che è solo trascorrere inerme del tempo, e non altro. Qui, Ruccello, propone il consueto cliché: il luogo isolato, il protagonista barricato all’interno e la minaccia esterna che semina orrore e sgomento nella donna. Già, perché i personaggi che fanno il loro ingresso a casa di Adriana non sono consueti ospiti, bensì proiezioni della mente della donna: desideri e paure, appunto. C’è il padre, consolatorio e rassicurante; la madre, severa e punitiva, il primo amore assieme ad una coppia che accelera la tendenza onirica dell’opera. Adriana, nel primo atto, accetta di buon grado questa invasione, anzi, vi prende gusto: tutto ciò che ha rotto la sua monotonia è ben accetto, altroché. A mano a mano che l’opera avanza, però, Adriana comincia ad essere ossessionata da queste presenze che vengono e vanno, senza un senso apparente. In un notturno manca, ad ogni buon conto, la luce, e la luce che manca, alla donna, è quella della ragione: isolata, umiliata ed offesa, la donna allontana gli ospiti da casa, pistola alla mano. Poi, con un coltello affilato, si dirige nella camera dei figli per massacrarli fino alla morte, in quello che la critica ha voluto definire – con lieve forzatura – un finale catartico.
C’è, in Giuliana De Sio, la necessità di stupire ancora dopo i successi televisivi e cinematografici, e l’attrice non si risparmia, si dà, si spende. L’intera compagnia dimostra una grande padronanza del testo dell’autore, un’adesione assoluta ed incondizionata ad una delle opere più belle di Ruccello, senza mai permettere alle tensione di allentarsi o allo spettatore di voltare la testa altrove. Da segnalare la prova di Gino Curcione, autore di una prova che definire ben sopra le righe è assai limitativo.