Personaggi e interpreti:
Adriana Imparato: Giuliana De Sio
Signor e signora Imparato: Gino Curcione
Rosanna: Rosaria De Cicco
Arturo: Andrea De Venuti
Michele: Mimmo Esposito
Sandro: Luigi Iacuzio
Scene: Roberto Ricci, da un progetto di Sergio Tramonti
Costumi: Teresa Acone
Disegno luci: Stefano Pirandello
Musiche: Carlo De Nonno
Regia: Enrico Maria Lamanna
Produzione: Teatro e Società srl
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Adriana Imparato è la moglie gravida e annoiata del metronotte Michele. Abita in una periferica zona residenziale con i due figli e il marito, che la considera alla stregua di una serva. Trascorre le serate seduta davanti al televisore, senza nessun contatto umano esterno. In un’afosa notte estiva irrompono a farle visita i fantasmi del passato, troppi da gestire contemporaneamente. Gli ingranaggi si inceppano, il delirio attende dietro l’angolo e il mito di Medea rivive nell’hinterland napoletano.
Annibale Ruccello era solo ventisettenne quando, nel 1983, scrisse Notturno di donna con ospiti, tre anni prima del tragico incidente che privò il teatro di un promettente drammaturgo. Il Notturno è un meccanismo ad orologeria, una machine infernale che conduce lentamente lo spettatore dalla risata alla pietrificazione. L’autore si impadronisce della vita quotidiana di una donna di bassa estrazione sociale e la frantuma, proprio nel mondo degli affetti domestici, la casa, spazio claustrofobico inadatto a contenere il dolore causato dalla riapertura di ferite mai suturate: il morboso rapporto con il padre remissivo; l’odio verso la madre opprimente; Sandro, il primo amore; l’antipatica compagna di banco Rosanna e suo marito Arturo. Lo sbilanciamento tra i due atti è determinato dai differenti dosaggi di comicità, eros e crudeltà che stabiliscono cortocircuiti funzionali al plot. In un aumento progressivo di avvilimento, si concretizza il tremendo incubo psicotico di questa adulta cresciuta male, cade il velo della muliebre ingenuità, svelando i terribili simulacri dell’inadeguatezza e dell’inettitudine. Si percepisce un’arcaica tragicità mediterranea, quasi uscita dal profondo della terra, oltre che dai meandri più oscuri della mente di Adriana. Caratteristica fondamentale, nelle opere di Ruccello, appassionato studioso della cultura napoletana, è l’attenzione al linguaggio. Da un lato, infatti, c’è il dialetto stretto ma musicale parlato dai coniugi Imparato, barocco quanto quello de La gatta Cenerentola di Roberto De Simone; dall’altro, con l’inserimento di oggetti scenici come la TV e la radio, si aggiunge la denuncia dell’omologazione linguistica-culturale avviata dai media.
Giuliana De Sio, dopo le edizioni del 1996 e del 2003, riporta in tournée Adriana. È attrice sapiente che sa adottare, in maniera repentina secondo le prescrizioni del testo, alterni stati d’animo, fino alla catatonia parossistica della pazzia. Il personaggio le è ormai così entrato sottopelle tanto da viverlo con spontaneità, genuinità e totalità, più che recitarlo. Gino Curcione interpreta splendidamente il padre e la madre della protagonista, facendo apprezzare tutta la bellezza di un napoletano antico e sboccato. Un po’ sopra le righe, ma comunque di alto livello, la prestazione degli altri membri del cast, Rosaria De Cicco, Andrea De Venuti, Mimmo Esposito, Luigi Iacuzio. L’aver mediato le voci attraverso l’uso dei microfoni è una scelta criticabile perché sottrae parzialmente al dramma quell’ulteriore intensità che solo il teatro a voce spinta riesce a trasmettere appieno al pubblico.
La regia di Enrico Maria Lamanna, le luci di Stefano Pirandello e le musiche di Carlo De Nonno convergono tutte verso un’atmosfera da thriller, dove chiari sono i riferimenti cinematografici, se si scova traccia di Psycho nell’imparruccata madre zoppa e di Shining nel triciclo, grottesco carro del Sole, con cui la moderna Medea percorre il palcoscenico. Mentre la risata sguaiata di Adriana lacera il cuore dello sconcertato metronotte appena rincasato, il sipario si chiude su un’unica, forse speranzosa, domanda: della vita che sta crescendo dentro di lei cosa ne sarà?