Il progetto ideato da Marco Baliani di portare in scena tre grandi italiani, l’anno scorso Ariosto, in questa stagione Boccaccio, nella prossima Machiavelli, ha toccato corde sensibili nelle aspettative dell’utente teatrale. L’Ambra Jovinelli era infatti gremito in ogni ordine di posti, da un pubblico anagraficamente trasversale: molti i gruppi di giovani freschi di studi letterari e numerosi coloro con le reminiscenze scolastiche già sedimentate.
In apertura Stefano Accorsi fa una postilla spiegando che la lingua ha mantenuto la sintassi e il lessico dell’epoca, adattata alla comprensione dei nostri tempi. Encomiabile il poderoso lavoro di riscrittura drammaturgica operato da Baliani con Maria Maglietta.
La scena è occupata da una sorta di caravan, casa e teatro viaggiante della compagnia di giro, che funge da quarta parete tra la platea e i girovaghi che allestiscono le loro storie (scene e costumi di Carlo Sala).
Seduti in platea assistiamo così a una rappresentazione metateatrale con un gruppo di guitti che propone la rivisitazione di sette novelle del Decamerone, sfruttando la modularità del furgone per trasformarlo in scenografia. Il passaggio dall’una storia all’altra è evidenziato dal rapido cambio d’abito e da commenti e incombenze personali degli attori, impegnati anche ad approntare il pasto.
Accorsi non assume per sé il ruolo della star. Nell’alternanza delle parti ciascun attore è narratore, protagonista, comprimario, come si addice ad una compagnia di scarse risorse materiali e molto ingegno creativo, ognuno qualificato da un nome e un appellativo che denota un vizio o una virtù: Stefano Accorsi è Panfilo maestro di brigata, Salvatore Arena è Filostrato il fedele, Silvia Briozzo è Elissa la generosa, Fonte Fantasia è Pampinea la giovine, Mariano Nieddu è Dioneo lo scaltro, Naike Anna Silipo è Fiammetta l’innamorata.
Nel Decamerone le vicende paradossali, grottesche, erotiche, e ridanciane dovevano far dimenticare la peste che infestava la città di Firenze da cui si scappava verso le colline e si esorcizzava la morte tuffandosi nei racconti edonistici. E oggi da quali pestilenze dobbiamo proteggerci? La risposta nelle note di regia di Marco Baliani: “Oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti”.
Con le cadenze dialettali riferite alla singola ambientazione (messinese, bolognese, sardo), il motore delle relazioni è l’amore libertino lubrificato dall’inganno.
Ecco che un frate sotto le mentite spoglie di un arcangelo gode delle grazie di una procace femmina, un marito geloso è gabbato dalla furba moglie, un garzone paga con la vita l’aver sedotto una ragazza siciliana dotata di tre fratelli, il giardiniere muto di un convento si trova a coltivare anche i piaceri delle suore, il giovane stalliere soccombe all’ira del duca di Salerno che lo sorprende nel letto della figlia, Buffalmacco beffa l’ingenuo Calandrino e infine il prodigo Ricciardo si gioca il cavallo per conquistare i favori di una donna maritata.
Da un racconto all’altro, senza soluzione di continuità, tutti gli attori sempre presenti in scena, fino ad affondare i forchettoni nella grande ciotola di tagliatelle, mentre raccolgono i meritati applausi.
Teatro di strada, opera corale, acrobazie linguistiche, recupero letterario e grande versatilità di tutti gli interpreti danno vita a un mix di estrema godibilità.
Il teatro è sempre il luogo della finzione che si fa plastica realtà, poiché i vizi, le virtù e le passioni umane non sono soggetti a vincoli temporali.