Un matematico come Piergiorgio Odifreddi, saggista e divulgatore, avvezzo alla comunicazione e alle performance radiofoniche, televisive e teatrali, rende allettante qualsiasi conversazione che verta sui numeri, anche a coloro che dai tempi della scuola storcono il naso sentendo pronunciare il termine “matematica”.
Coadiuvato dal pianista Roberto Cognazzo (entrambi piemontesi), intrattiene il pubblico del gremitissimo teatro (nemmeno una poltrona vuota, anzi sedie aggiunte) con un concerto sui numeri che pian piano si trasforma in un numero concertistico.
5, 10, 20, 30, 36, 43… inizia coì l’opera “Le nozze di Figaro” di Mozart su libretto di Da Ponte. Ancora Mozart, nell’aria “Madamina, il catalogo è questo” nel Don Giovanni, fa ricorso a molte cifre per indicare le donne amate dal protagonista.
Anche nella musica pop innumerevoli sono i titoli che contengono numeri: “24.000 baci”, “Ho giocato 3 numeri al lotto”, “Dammi 3 parole”, “3 son le cose che voglio da te”… Il ritmo di una canzone spesso viene fornito dal musicista al paroliere tramite numeri.
Il professor Odifreddi, a questo punto, inizia a spiegare come si legge uno spartito, in cui il tempo è rappresentato dalla frazione all’inizio di ogni rigo, come 4/4 o 2/4, mentre le frazioni dispari tipo 3/4 o 7/8, poco frequenti, producono i ritmi bulgari tipici delle danze dell’est.
Prosegue con le analogie fra le diverse operazioni: la riduzione ai minimi termini in matematica genera due frazioni equivalenti come 3/4 e 6/8 che in musica, però, non indicano lo stesso tempo. Il comun denominatore con cui si sommano due frazioni, in musica consiste nel suonare contemporaneamente i due ritmi. Tra Odifreddi e Cognazzo si instaura un duetto di parole e note, l’uno spiega, l’altro esegue.
Si passa poi alle scale musicali, la più conosciuta di 7 note, da cui discendono i 7 modi (intervalli, tanti quante sono le note), due soli dei quali utilizzati nella musica occidentale: do maggiore e do minore; la pentatonica del genere folk, quella cinese ottenuta con i soli tasti neri, l’ottofonica della musica moderna, la dodecafonica costituita solo da semitoni come ne “Il volo del calabrone”, o la musica recitativa del canto gregoriano.
Pitagora, matematico e filosofo, studiò il legame tra numeri e note, inventando la prima scala musicale. Narra il filosofo greco Giamblico di Calcide nella sua “Vita di Pitagora” che a Crotone, dove aveva fondato la scuola iniziatica, sentendo battere da un fabbro il martello sull’incudine, distinse i suoni consonanti da altri dissonanti e li volle riprodurre battendo con martelli uno la metà dell’altro su una corda tesa: ottenendo la stessa nota a 1/8 di distanza, dedusse che la somma di intervalli musicali fa moltiplicare i tempi, in scala logaritmica.
Il ponte gettato da Pitagora fra scienza e umanesimo è percorso ancora oggi dagli scienziati moderni, che concordano nel ritenere musica e matematica gli ingredienti del pensiero.
Gran finale con l’affinità tra musica e geometria: uno spartito si può leggere e suonare nel suo verso, in senso inverso, oppure in controluce in senso diretto e inverso, ottenendo quattro differenti versioni, come avviene nella musica barocca. Ci stupiamo scoprendo che un brano notissimo, così trasformato diventa irriconoscibile.
Si conclude con le famose Variazioni Goldberg, sperimentazione di Bach con trenta variazioni, eseguite amabilmente dal maestro Cognazzo al pianoforte.