«Il fatto è che si trattava di testi tradizionali e potevano farsi risalire a un sacco di autori precedenti, piuttosto che a uno specifico. I nostri riff erano completamente differenti rispetto alle precedenti versioni a parte “You Shook Me” e “I Can’t Quit You Baby”, che comunque sono state correttamente attribuite a Willie Dixon». (Jimmy Page)
Nel 1967 era nata la rivista musicale Rolling Stone (non so se prendendo spunto dall’omonimo gruppo musicale nato cinque anni prima o dal brano di Bob Dylan del 1965, oppure per caso), diventando ben presto, e lo è tuttora, un punto di riferimento per la stampa del settore musicale. Come si è detto, mai farsi nemica la stampa, soprattutto una rivista opinion leader come Rolling Stone Magazine, che accoglie tiepidamente un album, il primo dei Led Zeppelin, che poi vende almeno dieci milioni di copie e che, chissà, forse si trova spiazzata da un successo voluto dai fruitori finali, quelli che compravano e comprano dischi, piuttosto che dai critici musicali. Oppure semplicemente fa il suo mestiere, sta di fatto che non ne fa passare una liscia alla band del dirigibile. Trascurando, tuttavia, gran parte dei loro tanti colleghi dell’epoca che attingevano dalle stesse fonti, dalle stesse origini, con gli stessi richiami. Rolling Stone, la rivista, pare quasi accanirsi, così almeno sembra a Page and company, sulle accuse di di scopiazzare qua e là, arrivando a considerare che anche “Your Time Is Gonna Come” (se volete, potete cliccare sulla puntata precedente per il raffronto) un plagio, secondo John Mendelsohn della rivista Rolling Stone Magazine (fonte Wikipedia), da
“Dear Mr. Fantasy” dei Traffic . A voi le considerazioni pensando, se questa è una scopiazzatura, a quanti raffronti si potrebbero fare nella storia della musica. Una nota importante per una ingenua e sgangherata novella che ha per tema una delle più ricche cause per plagio, tuttora in corso.
Forse non è poi così strano che, invece ai giorni d’oggi, i quattro componenti dei Led Zeppelin siano ritenuti, dalla rivista “Rolling Stone”, tra i migliori interpreti nelle loro rispettive qualità, al pari dei loro album.
Ma all’epoca dei fatti le continue accuse portarono ad una lunga disputa tra la rivista e la band, che, più riprese, rifiutò le interviste e, quindi, anche la pubblicità che ne poteva scaturire per entrambi, acuendone lo scontro.
Sotto questi migliori auspici, sta per uscire il secondo album dei Led Zeppelin.
È sempre il 1969 quando nell’ottobre di quell’anno magico (La Fiorentina vince il secondo scudetto e, ah sì, l’uomo sbarca sulla Luna), esce il secondo long-playing della banda del dirigibile. Viene registrato in fretta, sotto le pressioni della casa discografica, durante le pause tra un tour e l’altro coinvolgendo, lungo il percorso, una decina di studi di registrazione sparsi tra la Gran Bretagna e la coste Est ed Ovest degli Stati Uniti.
Continua il processo di riscoperta e rielaborazione di riff dei vecchi bluesman, aggiungendo così nuova linfa alle invettive di plagio. Ma la forza dirompente dell’album andrà oltre le accuse della critica. In poco tempo Led Zeppelin “II” diventa un album leggendario, decretando definitivamente il successo della band. “II” scalzerà dalla vetta della della classifica inglese “Abbey Road” dei Beatles, restando in chart per 138 settimane e al n.1 per un mese e mezzo. Quattro dischi di platino in patria (dove si assegna, per gli album, ogni trecentomila copie vendute) che si sommeranno ai dodici conquistati negli Stati Uniti, dove invece sono necessarie un milione di copie per la certificazione. Oltre quindici milioni di copie, senza considerare le successive ristampe su cd e la recente edizione masterizzata da Jimmy Page, che rientra in classifica, a distanza di quarantacinque anni.
La rivista Rolling Stone lo colloca al settantanovesimo posto nella lista dei cinquecento migliori album di tutti i tempi. I crediti, come al solito, sono quelli riportati nella prima edizione del 1969.
Lato A.:
1 – Whole Lotta Love (Page, Bonham, Jones, Plant)
Come per l’album di esordio, il primo solco diventa anche il 45 giri per il lancio del 33 giri (l’unico singolo pubblicato dalla band nel Regno Unito), un brano leggendario, uno dei biglietti da visita dei Led Zeppelin. Un riff inconfondibile creato da Page, dove Plant sfoga le allusioni della canzone, simulando un amplesso nella parte centrale del brano. Un’altra trasformazione di un pezzo blues scritto da Willie
Dixon e interpretato da Muddy Waters nel 1962, questo: . Indubbia la genialità delle trovate sonore della band, come l’origine dell’ispirazione. Ma, a differenza di quanto accaduto in “Led Zeppelin”, i crediti non riportano la fonte di tale ispirazione: «Il riff di Page era il riff di Page, era lì prima di qualunque altra cosa. Ho solo pensato, e adesso cosa facciamo? Ci furono molte discussioni sul da farsi, alla fine decidemmo che si trattava di un’influenza così vaga che…beh, ti pizzicano solo quando hai successo. Funziona così». (Robert Plant).
Sempre nel 1969 Leonard Chess (vi ricordate?) vende l’etichetta discografica Chess Records alla GRT, mentre la ARC Music diventa il ramo preposto alla pubblicazione dell’intero catalogo Chess. A partire dal 1972 la ARC Music promuove una serie di azioni legali per il riconoscimento dei diritti degli artisti della Chess Records, compreso il brano in questione. Dopo lunghe traversie, nei crediti delle successive ristampe, comparirà, oltre ai quattro Zeps, il nome di Dixon.
2 – What Is And What Should Never Be (Page, Plant)
Blues avvolgente con le improvvise incursioni della chitarra di Page e il magico basso di John Paul Jones. A me piace un sacco, come il gong di Bonzo. Vi pare davvero hard rock o heavy-metal?
3 – The Lemon Song (Page, Bonham, Jones, Plant)
Fu presa in prestito da “Killing Floor” del bluesman Chester Burnett aka Howlin’ Wolf, questa: . Un blues che I Led Zeppelin hanno spesso inserito, con il titolo originale, nella scaletta del loro primo tour negli Stati Uniti. Poi il brano si evolve e, nei tour successivi, diventa “The Lemon Song”, con liriche spesso improvvisate da Plant. In “II” viene ripresa una strofa addirittura di Robert Leroy Johnson (quinta puntata) che non vi posso tradurre in quanto credo che siamo in fascia protetta. Confermandovi, tuttavia, che il limone fa riferimento all’organo genitale maschile. Ma il fatto è che nella prima ristampa dell’LP nel Regno Unito, l’etichetta del disco riporta “Killing Floor” come terzo solco e accreditata a Burnett. Al contrario, sulla copertina del disco, il titolo è “The Lemon Song” e i crediti ai soli Led Zeppelin. Per questa ragione, se possedete la copia in vinile siglata Atlantic K 40037 (aspettate che vado a controllare la mia…no, ti pareva…), sappiate che è ambita dai collezionisti. Verso la fine del 1972 la ARC Music bussa nuovamente alla porta del dirigibile, citandolo in giudizio per violazione del copyright. Il caso si risolve in via amichevole con un risarcimento per Burnett aka Wolf e la sua inclusione tra gli autori del brano.
È il primo testo scritto da Robert Plant per i Led Zeppelin, dedicato a sua moglie, Maureen Wilson. Troneggia l’Hammond di John Paul Jones e la voce di supporto è quella di John Bonham.
Lato B:
1 – Heartbreaker (Page, Bonham, Jones, Plant) / 2 – Livin’ Lovin’ Maid (She’s A Woman) (Page, Plant)
Come in “Led Zeppelin”, anche qui i primi due brani del lato B non possono essere separati. Questa volta la prima canzone termina in sospeso per lasciare spazio al rock and roll travolgente del secondo pezzo.
Heartbraker è un altro brano storico della band sostenuto del riff ripetuto dalla chitarra di Jimmy Page che si conferma un precursore introducendo la tecnica del tapping (stile che ha percorso i secoli e del quale anche Niccolò Paganini pare ne facesse uso), usata poi, tra gli altri, anche da Steve Hackett nei Genesis. Questa tecnica consiste nel suonare gli accordi con la mano “ritmica” (quella che usa il plettro per capirci) direttamente sulla tastiera. Eddie Van Halen, dopo avere tentato, senza successo, di imitare l’assolo di Page, la codificò rendendola più semplice, ma, forse, anche meno efficace. Questa è la versione live di “Heartbreaker” registrata alla Earls Court Arena di Londra nel 1975, dove Page si concede anche qualche secondo per richiamare gli accordi della suite in Mi minore BWV 996 (BC L166) bourrée di Johan Sebastian Bach
Ennesima perla dell’album il cui testo si ispira al “Signore degli anelli” di Tolkien: “Mine’s a tale that can’t be told, my freedom I hold dear, how years ago in days of old, when magic filled the air. ‘Twas in the darkest depths of Mordor, I met a girl so fair. But Gollum and the evil one crept up and slipped away with her”.
4 – Moby Dick (Page, Bonham, Jones) (nel video le rune non sono corrispondono ai legittimi intestatari. Ndr).
Brano interamente strumentale e leggenda per tutti I batteristi, nasce da un’idea di Jimmy Page dopo avere ascoltato le improvvisazioni di “Bonzo” Bonham durante le pause tra una registrazione e l’altra. Il solco inizia con una breve introduzione che si basa su “The Girl I Love She Got Long Black Wavy Hair” del bluesman Sleepy John Estes, per poi lasciare spazio allo stupefacente e lunghissimo assolo di Bonham che, in concerto, poteva essere dilatato a dismisura, come questo registrato alla Royal Albert Hall nel 1970
5 – Bring It On Home (Page, Plant)
Il brano contiene un deliberato omaggio a Sonny Boy Williamson II (deceduto nel 1965), e alla sua versione del 1963 di “Bring It On Home” . Omaggio facilmente riconoscibile, contenuto nella durata, e completamente diverso dal riff principale della canzone. Ma questo blues di Sonny Boy è stato scritto da Willie Dixon e così la ARC Music si fa viva per la terza volta e la causa si conclude con un misterioso, nell’importo, patteggiamento in denaro.
In un intervista del 1977 rilasciata a Dave Shulps (Trouser Press), Jimmy Page commenterà: “Riguardo a “Bring It On Home” c’è solo un piccolo frammento preso dalla versione di Sonny Boy Williams e lo abbiamo messo a titolo di tributo. La gente dice: «Oh, “Bring It On Home” è rubata». Bene, quel piccolo frammento nella canzone si riferisce a tutto quello che era già stato fatto prima”.
– continua –