«Shakespeare è troppo complesso per afferrarlo tutto, si rendono necessarie delle scelte, per me Otello rappresenta la grande domanda sul mistero dell’animo umano: come può l’amore più puro e sublime trasformarsi nell’odio più cieco e furioso? Se non bastano le macchinazioni dell’infido Iago a spiegare il gesto scellerato di Otello, dove si nasconde la miccia della violenza?». (Luigi Lo Cascio)
In questa versione Lo Cascio riscrive l’Otello riducendolo all’essenziale, a quattro personaggi per l’esattezza: il condottiero, l’alfiere, Desdemona, ai quali si aggiunge un soldato che si fa narratore e critico interlocutore della vicenda, coscienza recitante, per certi versi trasposizione contemporanea del ruolo che aveva il coro nell’antica tragedia greca. Il ruolo di Otello è impersonato dal viscerale e intenso Vincenzo Pirrotta, attore palermitano erede della tradizione dei centisti, mentre quello di Iago dallo stesso Lo Cascio, Desdemona, incarnata dalla bravissima Valentina Cenni, Giovanni Calcagno infine è il coro, vero e proprio Deus ex machina.
A partire da Shakespeare un altro Otello e il medesimo, spogliato dell’originale architettura narrativa per cercare di riesumarne l’essenza, vivente in quelle stesse fondamentali e dolorose domande, che ancora oggi s’impongono con la dirompente forza del dissidio irrisolvibile. La lingua italiana e il dialetto siciliano, anch’esso lingua e ancor di più personaggio e sinfonia, si confondono e confrontano a suon di endecasillabi nel testo di Lo Cascio, che si muove alla ricerca di un senso, una motivazione dell’incomprensibile violenza, la quale parla una lingua sconosciuta alla ragione dell’uomo, manovrandone le scellerate azioni come una marionetta.
La sequenza temporale della storia è decostruita come lo è l’animo dei personaggi, che subiscono attivamente la loro nera sorte. L’immacolato fazzoletto cela simbolicamente la corruzione, proiettata da fosche immagini nell’inizio metaforico della rappresentazione. Già si presagisce l’innocente Desdemona sacrificata alla più folle e ingiustificata gelosia, mentre versa esamine e spettrale a rimuginare su quell’amore che si è rivelato condanna mortale. L’incubo prende avvio e si riavvolge attorno al nocciolo stesso dell’opera, il labirinto di un’anima scissa da passioni incontrollabili, lacerata da contraddizioni ed enigmi, che la violenza non fa altro che occultare ancor più tragicamente. Iago diventa l’emblema del disincanto, dell’odio infinito di cui è capace l’uomo, del bieco tramare del declino attraverso il sospetto, la fragilità. L’idea ossessiva rapisce il cuore fino a farlo sfociare in violenza e morte.
Lo Cascio con “prudenza e devozione nei confronti del modello” liberamente cerca di sviscerare le sfumature individuali di questo dramma universale. Fragilità e solitudine sono, secondo Lo Cascio, la vera sostanza di questa tragedia, che già emergeva anche negli esordi incantati della relazione, quella dei primi abbracci, delle prime tenerezze, dei primi dubbi senza risposta.
“Ci sono domande tremende, essenziali e senza tempo, racchiuse nelle parole dei più grandi poeti.” (Luigi Lo Cascio)
——–
regia LUIGI LO CASCIO
scenografia, costumi e animazioni Nicola Console e Alice Mangano
musiche Andrea Rocca
luci Pasquale Mari
con Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio, Valentina Cenni, Giovanni Calcagno
produzione Teatro Stabile di Catania