traduzione e adattamento: Masolino D’Amico
regia: Massimo Ranieri
luci: Maurizio Fabretti
scene: Lorenzo Cutuli
costumi: Nanà Cecchi
musiche originali: Ennio Morricone
Interpreti: Massimo Ranieri, Roberto Vandelli, Gaia Bassi, Massimo Cimaglia, Roberto Bani, Luigi Pisani, Paolo Lorimer, Antonio Speranza, Carla Cassola, Marco Manca, Margherita di Rauso, Paolo Giovannucci, Giorgia Salari, Antonio Rampino, Paolo Giovannucci, Mario Scerbo
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Riccardo III, deforme dalla nascita, pur di arrivare al potere elimina in rapida successione fratello, due nipoti, il duca di Buckingham e il Principe di Galles. Salito al trono viene, però, sconfitto in battaglia a Bosworth dal conte di Richmond. Questa in sintesi la trama della sanguinolenta tragedia di Shakespeare ambientata nella seconda metà del Quattrocento in Inghilterra.
E’ un periodo difficile, flagellato da lotte e sangue per il riassetto del potere. Riccardo III è un personaggio storico negativo, di cui il Bardo (così soprannominato per le sue grandi doti di poeta) ne esalta i lati più oscuri scavando nella psiche malata del potere. Un personaggio ricco di contraddizioni, incubi, pensieri distorti. Un Riccardo III che non cede nemmeno per un attimo, sempre impassibile, freddo davanti agli avvenimenti finché non lo travolgono.
Nella versione andata in scena al Teatro Cagnoni di Vigevano i costumi non sono quelli pomposi che ci si aspetterebbe di vedere in una rappresentazione shakespeariana, ma è una cosa studiata e voluta, perché secondo l’impostazione registica, il desiderio è di attualizzarlo e renderlo contemporaneo. A mio avviso l’impatto visivo risulta un po’ claustrofobico dando maggiore risalto alla cupezza degli intrighi di palazzo e degli omicidi in un clima totalmente decadente e corrotto; un allestimento che trasmette al pubblico un disagio attraversato da una sensazione di costrizione.
La suggestiva musica appositamente composta da Ennio Morricone ha delle sonorità disorientative, il ritmo incessante dei tamburi sono un continuo presagio di morte. Le scene ideate da Lorenzo Cutuli ricalcano le atmosfere dei film anni Cinquanta: una scenografia colossale la quale rappresenta la Torre di Londra che per ogni cambio scena viene chiusa e nuovamente riaperta. I costumi non sono del periodo elisabettiano, bensì in smoking, papillon e scarpe di vernice con qualche riferimento all’epoca originale come i mantelli e gli abiti riccamente decorati dei regnanti e una corona svettante sul gigantesco simbolo del potere: il trono. L’ambiente, il palcoscenico e il teatro è invaso dall’acre odore e dalla presenza del troppo fumo, sicuramente atto ad esaltare un personaggio tormentato, sgradevole, viscido e spregevole con una metaforica azione tossica nel pubblico complessiva a esprimere un forte disagio.
Chi pensa che Shakespeare sia superato e non abbia nulla da dirci oggi dovrebbe rileggersi questa tragedia anche se lo spettacolo di Ranieri tradisce in parte concettualmente l’opera originaria perché, a mio avviso, i grandi testi del teatro immortale necessitano, più che una rilettura, di una tutela nei confronti delle usanze e dei costumi tradizionali in nome della cultura. Una messa in scena che parla di potere e di quanto possa insinuarsi nell’animo umano e trasformare gli uomini in bestie rendendo verso il finale tutta la piccolezza di quest’uomo spietato, rappresentato da Massimo Ranieri come un buffone di corte piuttosto che un re con le caratteristiche fisiche attribuitegli da Shakespeare: il braccio avvizzito, l’andatura zoppicante, la gobba. Riccardo III è la rappresentazione della crudeltà, di un uomo ossessionato da innumerevoli fantasmi che lo condurranno verso l’inevitabile tragica fine.
L’imponente furia e ferocia che Riccardo riversa sulla sua famiglia è spietata e le maledizioni che rivolge alla famiglia reale sono le più memorabili nella storia del teatro perché determinano un’imponente presenza psicologica.
Secondo la tradizione, Riccardo, prima della battaglia, consultò una veggente la quale gli avrebbe predetto che “ove il tuo sperone dovesse colpire nella cavalcata verso la battaglia, la tua testa sarà rotta al ritorno”. Nel finale della regia di Ranieri si rammenta che andando in battaglia, Riccardo colpisce con lo sperone una pietra mentre al ritorno il suo cadavere, trasportato dai nemici, colpisce violentemente la stessa pietra aprendo il cranio, il tutto metaforicamente rappresentato dall’apertura e dalla chiusura dell’apparato scenografico per tre volte sulla testa dell’attore protagonista prima che il buio inghiotta per sempre la connessione del potere mediante il cambiamento dello stato mentale e comportamentale in un apoteosi di confusione, delirio, letargia e allucinazioni.
Tanti applausi finali a tutta la numerosa compagnia e a Massimo Ranieri, sempre amato dal pubblico.