El amor brujo
Musica di Manuel De Falla
Libretto di Gregorio Martínez Sierra
Lucia: Clarissa Leonardi
Primi ballerini:
Teresa Strisciulli
Evghenij Kurtsev
Antonio Russo
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Cavalleria rusticana
Melodramma in un atto di Pietro Mascagni su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, dal dramma omonimo di Giovanni Verga
Personaggi e interpreti:
Santuzza: Ildiko Komlósi
Lola: Clarissa Leonardi
Turiddu: Yusif Eyvazov
Alfio: Sebastian Catana
Mamma Lucia: Milena Josipovic
Direttore: Jader Bignamini
Orchestra, coro, corpo di ballo e tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del coro: Vito Lombardi
Regia e coreografia: Renato Zanella
Scene e costumi: Leila Fteita
Luci: Paolo Mazzon
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
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Per Renato Zanella, regista e coreografo del dittico El amor brujo e Cavalleria rusticana al Teatro Filarmonico di Verona, il nesso tra questi lavori così musicalmente distanti andrebbe ricercato nell’amore tragico e nelle influenze della cultura araba su quella andalusa e siciliana. Tali motivazioni sono parse, a chi scrive, ingenue e superficiali. Voler creare una forzata unicità spazio-temporale attraverso la presenza nel paesino siculo di una compagnia di bailaores flamenchi che prova l’Amor brujo la sera del Sabato santo, accompagnati da un improbabile cante jondo di Lola, si è dimostrata un’operazione francamente malriuscita. Più appropriato, oserei scrivere semplice, sarebbe stato creare due allestimenti a se stanti, o anche uno solo, dato che il balletto di De Falla non necessita di particolari accorgimenti scenografici. La coreografia, seppur ben recepita dai danzatori tra cui si sono distinti i primi ballerini Teresa Strisciulli, Evghenij Kurtsev e Antonio Russo, ha riservato poco spazio alla storia sentimentale tra anime dannate, accantonando quell’atmosfera tetra fatta di esorcismi, incantesimi e rituali magici che le sonorità del compositore spagnolo narrano e che le luci quasi fisse di Paolo Mazzon avrebbero potuto sfruttare meglio. Tutto è stato livellato a una colorata frontalità delle masse, corali o coreutiche che siano. Stessa sorte per Cavalleria. La regia è statica e il finale va oltre qualsiasi logica drammaturgica, con il popolo fermo a guardare il duello tra uomini d’onore e il fatidico “Hanno ammazzato compare Turiddu!” innalzato da grida prive di tragicità. Ciò è d’altronde coerente con la mancanza di tensione che ha contraddistinto la serata. Le scene e i costumi di Leila Fteita sono pertinenti con l’ambito meridionale, se non fosse per le rovine greche che stonano con la rusticana sacralità di Verga e col verismo di Mascagni. Decisamente brutte le quinte marmoree scorrevoli che separano i vari quadri. L’intento principale sembra essere stato quello di ricreare certi soggetti della pittura di genere ottocentesca, tanto cara a John Singer Sargent e agli artisti stranieri che assai amavano il Mediterraneo e le sue terre.
Ildiko Komlósi ha incarnato una Santuzza sanguigna, dalla convincente presenza scenica, ma dalla voce eccessivamente verista, sfociante sovente in un soverchiante declamato. Civettuola la Lola di Clarissa Leonardi, più a suo agio con gli stornelli amorosi siciliani che con le cabale esoteriche, quasi parlate, di Martínez Sierra. Se l’è cavata senza infamia e senza lode Yusif Eyvazov, con acuti ben piazzati ma incertezze nei rimanenti registri, mentre Sebastian Catana ha sfoggiato maggior pulizia e precisione nell’esecuzione. Mediocre la Mamma Lucia di Milena Josipovic, dalla gestualità ripetitiva, abbozzata e dalla voce anodina.
Il coro, preparato da Vito Lombardi, ha fornito una prestazione memorabile, confermandosi una delle migliori realtà musicali del Veneto.
Sensualità, languidezza e impetuosità si sono fatte strada tra i ritmi serrati e meditativi, tra i volumi e le dinamiche dosate con sapienza dal grande direttore Jader Bignamini. Le scelte espressive presentavano una loro logica intrinseca e ottimo era il rapporto tra buca e scena, tanto che nessun cantante è stato coperto dalla compagine strumentale. Il gesto elegante, ipnotico e sicuro nel condurre l’orchestra ha trovato nell’usuale rigore di Bignamini ulteriore preziosità.
Ovazioni e applausi calorosi per Komlosi, Eyvazov e Catana.