Il grande affresco di Vitaliano Brancati sulla Sicilia degli anni Trenta e sull’Italia fascista approda a teatro, nell’adattamento curato dalla figlia Antonia con Simona Celi.
Gli intrecci familiari sulla scena riflettono analoghi intrecci tra le persone coinvolte in questa produzione, fortemente voluta da Simona Celi (che figura anche nel cast) e realizzata dalla Lux Teatro del marito Giancarlo Zanetti, interprete dello zio Ermenegildo. Il Bell’Antonio del titolo è Luchino Giordana, figlio di Andrea Giordana nel ruolo di suo padre Alfio, che negli anni Ottanta ha costituito un lungo e affiatato sodalizio artistico con Zanetti.
A questo coacervo di legami e affetti, si somma l’estro registico di Giancarlo Sepe che fa risaltare la coralità del narrato, pur focalizzando una vicenda personale e unica, con un’ambientazione disancorata da un contesto scenico, in cui le azioni si svolgono in concomitanza o si susseguono col semplice ruotare di un drappo mobile.
Nella trasposizione teatrale del romanzo italiano più letto dopo il Gattopardo sono sopravvissuti i personaggi funzionali alla vicenda, il cui sguardo si posa sulla tragedia umana del bellissimo Antonio e sulla tragedia storica del nazifascismo, che la versione cinematografica di Bolognini con la sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini aveva snaturato trasferendola negli anni Sessanta.
Oltremodo meritoria questa iniziativa, fedele all’opera letteraria nello spirito e nell’espressione linguistica, che sfugge gli stereotipi e le macchiette, fornendo una vivida foto in bianco e nero di una società sorniona e pulsante, in cui il dramma di un giovane si proietta in quello di tutto il paese coinvolgendo il costume, la cultura e tutta la società.
Un bianco e nero ricco di sfumature create dal disegno luci di Franco Ferrari delinea la scarna scenografia di Carlo De Marino, in cui troneggia un obelisco-perno che sostiene un braccio ruotante al quale è appeso un drappo che svolazza ogniqualvolta l’azione si sposta e mutano i personaggi, avvolgendo persone e travolgendo arredi, allegoria dello scorrere degli eventi che spazza sia le vite degli inermi componenti della famiglia Magnano che hanno creduto nelle qualità del giovane rampollo, sia quelle degli italiani che hanno creduto nel mito mussoliniano.
Il Bell’Antonio è un giovane che deve misurarsi col doppio dramma personale di marito incapace di rendere felice la sposa e di figlio non all’altezza della matura virilità paterna, e col doppio dramma sociale dell’essere inadeguato rispetto alla connotazione maschilista della provincia siciliana e non rispondente al concetto di superuomo con cui si identifica il regime.
La famiglia e la buona società catanese lo credono maschio vorace, circondato da conquiste femminili e politici potenti. Solo lo zio Ermenegildo, filosofo e cosmopolita, si distacca dal coro. A lui Antonio rivela la causa della sua angoscia, quando gli eventi precipitano e il segreto del matrimonio non consumato è argomento cittadino di conversazione.
Il disfacimento della famiglia è parallelo a quello dell’Italia: il vecchio padre muore nel bombardamento di un bordello, nell’estremo tentativo di riscattare l’onore ferito.
Una prova, a sessant’anni dalla morte dello scrittore, che vede l’atteso ritorno della coppia Giordana/Zanetti, padre ancorato agli stereotipi ancestrali il primo, zio aperto alla visione circolare del mondo il secondo. Luchino Giordana, elegante e inquieto è un credibile Antonio, Elena Callegari è l’orgogliosa madre, Michele De Marchi il cauto notaio Puglisi padre della dolente Barbara interpretata da Giorgia Visani, Simona Celi è la spumeggiante Elena inutilmente innamorata di Antonio, Natale Russo è l’avvocato Ardizzone e Alessandro Romano veste la tonaca di padre Raffaele.