Ieri sera al Piccolo Teatro Strehler abbiamo visto “Il gioco delle parti” di Pirandello che, dopo l’adattamento di Umberto Orsini, Roberto Valerio e Maurizio Balò. sarebbe più corretto dire da Pirandello.
Cominciamo a raccontare la trama in pillole dell’originale. Poi parleremo della nuova versione.
Leone Gala è separato dalla moglie Silia che lo tradisce con un amico, ma conserva la maschera sociale del marito. Silia e Guido (l’amante) tramano per liberarsi del secondo angolo del triangolo, convincendolo a sfidare a duello un gentiluomo abilissimo spadaccino che, a detta della moglie, l’avrebbe disonorata. Ma quando si tratta di scendere in campo con le armi in pugno Leone, che ha capito di essere caduto nella trappola del duello tesagli dalla moglie con l’amante, obbligherà Guido a battersi (e soccombere) perché lui era presente e per pura viltà, in quella disgraziata circostanza, non intervenne in difesa di Silia. La commedia finisce con Leone che si appresta a gustare il suo uovo alla coque quotidiano.
Valerio, Orsini e Balò hanno pensato di raccontare la storia in modo diverso partendo dalla fine del racconto pirandelliano. I tre si chiedono che cosa avrà fatto Leone, come sarà vissuto nel resto degli anni. Ed ecco il colpo di genio. La scena si apre su una stanza desolatamente arredata da un letto, due sedie e Leone seduto su una sedia a rotelle ospite di una clinica psichiatrica che con parole smozzicate, frasi dette e non dette ricorda in modo frammentario la sua storia passata.
Per evitare un semplice racconto, gli autori hanno usato la tecnica cinematografica del flashback, vediamo infatti Leone alzarsi dalla sedia a rotelle e ridiventare quello di allora con tutti i personaggi interessati alla vicenda dalla moglie Silia all’amante, al medico amico (che è anche il medico della clinica). Questo sdoppiamento è possibile grazie alla scenografia curata da Maurizio Balò bella e funzionale che con semplici aperture di quinte permette il cambio di ambienti (dall’ospedale all’interno di casa) e ci permette quindi di entrare e uscire dalla storia raccontata e vissuta in diretta.
Leone ripercorre ossessivamente i fatti che risultano distorti e gettano una spessa ombra sulla realtà dei fatti stessi. Silia è una leggera, inconsistente, annoiata maschera di una società decadente o è veramente la fredda stratega del tentato omicidio del marito? Quella sera sarà stata veramente disonorata? Leone è un malinconico raisonneur, deciso di dimettersi da ogni carico morale e materiale o dietro quella facciata (la maschera e il volto) c’è un marito pieno di rancore che architetta la morte dell’amante? Come finirà il protagonista? Secondo gli autori “quello che attende Leone è un riposo che lo allontani dalla meschinità della vita e lo avvicini alla serenità degli dei”.
Con quest’opera Pirandello ci ha portato a esplorare una società chiusa in un guscio vuoto che cerca di trovare se stessa in un labirinto di specchi deformanti che confondono le sembianze vere da quelle false.
Gli autori dell’adattamento hanno corso il rischio di passare per quelli che stravolgono il testo per essere à la page, moderni, rivoluzionari. In realtà solo malati di solipsismo.
Per la verità invece devo dire che gli autori non hanno tradito lo spirito di Pirandello il quale anzi sarebbe felice di applaudire chi è riuscito a complicare la sua già complicata vicenda. Battuta a parte la rilettura è intelligente ad alto tasso di creatività e unità di stile, la pièce cioè potrebbe essere stato scritta fin dall’inizio dal Maestro. Però un appunto lo devo farle: lo spettatore che andasse a teatro senza conoscere almeno per sommi capi la trama dell’opera, per i primi dieci minuti sarebbe sconcertato per l’impossibilità di cogliere il filo del racconto. Ma anche questo è molto pirandelliano.
Umberto Orsini dà ancora una volta la dimostrazione di cosa significhi essere un grande attore per l’incredibile gamma della tonalità vocale, per i silenzi, la mimica, i gesti, le posture, la padronanza scenica. Tutti su un buon livello gli altri attori da Alvia Reale, Totò Onnis, Flavio Bonacci, Carlo De Ruggeri e Woody Neri. Delle bellissime scene di Maurizio Balò abbiamo detto. Molto funzionali le luci di Pasquale Mari, belli i costumi di Gianluca Sbicca. Quando tutto il meccanismo drammaturgico gira alla perfezione il merito è soprattutto del regista, Roberto Valerio.