La famiglia secondo Harold Pinter? Una giungla, un cupo coacervo di esseri umani dove si consumano malessere, recriminazioni, disprezzo, violenza psicologica e derisione, simbolo del pericolo delle relazioni sociali.
È il scena al Teatro Vascello di Roma (fino al 29 marzo) Il ritorno a casa di Harold Pinter con la regia di Peter Stein, alla seconda tourneé nazionale dopo il debutto al Festival dei 2Mondi di Spoleto edizione 2013.
“Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena Il ritorno a casa. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi – spiega Peter Stein affrontando il suo primo Pinter – La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili, si tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale quando uno dei fratelli con la sua nuova moglie ritorna dall’America”.
Scritto nel 1965, Il ritorno a casa è un lavoro duro e spiazzante che Stein ha voluto indagare con cristallino distacco mostrando l’inusitata e insita crudeltà della famiglia e dei precarissimi rapporti fra i sessi attraverso una messinscena che pone al centro dell’attenzione soprattutto il lavoro degli attori (con la compagnia che già fu protagonista della lunga maratona dei Demoni) e il disfacimento morale della famiglia. Il ritmo è sempre costante nell’alternanza fra dialoghi e inquietanti silenzi, fra minimi gesti che diventano amplificati gestiti da una regia quasi invisibile. I personaggi sono drammatici illusi, derelitti della vita, totalmente persi nell’impossibilità di trovare sé stessi, quasi patetici nella loro escalation di violenza e soprusi.
Gli interni borghesi della casa (ricostruiti Ferdinand Woegerbauer), lo specchio e il comodino, il divano e la grande poltrona del capofamiglia al centro del salotti, sono apparentemente rassicuranti, in realtà non hanno nulla del tranquillo focolare domestico. La prima scena, in cui il vecchio e bisbetico padre Max (Paolo Graziosi) cerca inutilmente di attirare l’attenzione del figlio (un tipo poco raccomandabile) Lenny (Alessandro Averone), sprezzante e interessato solo alla lettura del giornale, dimostra fin da subito la violenza verbale e fisica che determina i rapporti di famiglia, popolata anche dal tonto boxeur Joey (Antonio Tintis) e dal gentile zio Sam (Elia Schilton).
L’elemento disturbatore e perturbatore della precarissima famiglia al maschile è Ruth, moglie di Teddy (Andrea Nicolini), il professore di filosofia che ha fatto fortuna in America e che torna dopo sei anni nella casa paterna. Unica donna presente in scena, Ruth (un’algida Arianna Scommegna, premiata con come miglior attrice italiana al Premio UBU 2014 per il ruolo), scatenale le perversioni e le pulsioni di dominio degli uomini: prima vittima, diventerà il loro carnefice. Nonostante l’apparente fragilità saprà non solo tener testa al feroce agglomerato maschile che le si pone davanti agli occhi, ma riuscirà anche a manipolarlo: lascerà il marito e i figli, ed entrerà nella nuova famiglia dominando il gruppo di uomini ai suoi piedi impadronendosi anche della poltrona di Max. Finale aperto come vuole Pinter.