La puntina corre inesorabilmente verso quella etichetta, appiccicata sul quel grande disco nero. Hastings ne ha pietà e la solleva, impedendo lo scontro con l’angelo che sta cadendo sulla terra. Come fosse uno Zeppelin.
Poirot è ancora composto, seduto a gambe unite sulla sua poltrona, immerso, ancora, in tutta quella musica.
Il grande investigatore si alza di scatto, procede a passi sicuri verso il tavolo dove, accanto ai sei dischi appena ascoltati, ce ne sono altri quattro. Quelli scartati, un po’ come hanno fatto gli Zeps con alcune loro canzoni, un po’ come hanno fatto celermente i critici, e non solo, dopo quell’ennesimo anno, il 1975, costellato dal successo della band. Ma un anno è fatto di dodici mesi, e ci sono anche le ferie. Per staccare e ricaricare le pile verso nuovi orizzonti, meglio se con accanto la propria famiglia. E Poirot lo sa.
Rodi, magari di agosto, anche se fa un grande caldo. Un lunedì pomeriggio, il 4 agosto del 1975, Robert Plant, insieme alla sua metà Maureen e ai loro figli, guida per quelle strade dalla cultura antica. Una curva, una dritta, un incidente.
Maureen lotta tra la vita e la morte per alcuni giorni e, fortunatamente, vincerà la sua battaglia, mentre i piccoli Carmen e Karac se la cavano, rispettivamente, con una frattura al polso e una alla gamba. Robert ha il bacino rotto, lo attendono sei mesi su una sedia a rotelle.
I Led Zeppelin, i giganti invincibili, fanno i conti, per la prima volta, con l’essere umani, proprio come noi. La sapienza del loro essere eccelsi musicanti, non può fare niente contro la loro prima vera e grande avversità, nessun dio celtico può correre in loro aiuto.
«Era sdraiato con dolori atroci, mentre cercavo di scacciare gli scarafaggi dal letto. Accanto a me era ricoverato un giovane soldato ubriaco che iniziò a cantare “The Ocean”». (Robert Plant)
Le strutture mediche sull’isola greca sono inadeguate e già l’8 agosto, con un volo su un jet privato, i coniugi Plant vengono trasportati e ricoverati in terapia intensiva a Londra. Le sofferenze fisiche, insieme a tempi di recupero incerti, hanno il sopravvento. Le date previste del loro ennesimo tour mondiale saltano (solo per i due concerti ad Oakland erano già stato raggiunto il sold out con 110.000 bilglietti venduti, a dieci dollari l’uno), quando i Led Zeppelin sono al culmine della loro popolarità, facendo incetta di premi e riconoscimenti in ogni parte del mondo.
Oggi sarebbe facile dire che potevano prendersi un po’ più di tempo, guarire le ferite e suonare tutti e quattro insieme in altra villa vittoriana. Invece, sebbene allora la musica non aveva le piattaforme di adesso che la rendono spesso un mordi e fuggi senza memoria, Jimmy Page, con la complice approvazione di Peter Grant, prende la decisione di registrare un album. Una sorta di affermazione che i Led Zeppelin continueranno nonostante le avversità, una rassicurazione per i fans, o forse per loro stessi, o per l’ego di Jimmy.
Per questo Poirot decide di mettere sul piatto anche il settimo disco, non solo perché, lui ed io, abbiamo in comune un amico di Bellariva, residente a Sesto Fiorentino, che desidera riascoltarlo. Anche se è il disco che ha venduto di meno, ma il più riabilitato dai posteri.
La voglia di non darsi per vinto ha la meglio: Page raggiunge Plant a Malibu, dove sta trascorrendo il periodo di convalescenza, per scrivere nuove canzoni, mentre John Paul Jones e John Bonham tornano dalle loro famiglie. I quattro si riuniscono solo per un breve periodo, provando insieme il materiale preparato da Plant e Page. Forse è per questo che può essere considerato l’album più imperniato sulla chitarra nella discografia dei Led Zeppelin.
Le sessioni di registrazione furono particolarmente impegnative per Plant. Uno studio improvvisato in un seminterrato di un hotel, seduto sulla sua carrozzina.
«Ho passato tutto il tempo su una sedia a rotelle, una condizione frustrante per chiunque. Credo che la mia performance vocale sia stata piuttosto scarsa. Come fossi stanco e teso, e lo ero. La grazia salvifica dell’album sono state “Candy Store Rock” e “Achilles Last Stand”, la cui sezione ritmica era molto ispirata. Ma ero furioso con Page e Grant. Ero furioso perché non potevo tornare dalla donna che amavo e dai nostri figli. Mentre pensavo se tutto questo rock’n roll valesse qualcosa. Ma è stato come un grido di sopravvivenza. Non ci sarà mai un altro album simile a questo, messo su così. È stato un urlo disperato dal nostro profondo, l’unica cosa che potevamo fare» (Robert Plant)
Serviva uno studio di registrazione per riversare e mixare quella frenetica maratona, la scelta cade sul Musicland Studios di Monaco di Baviera nonostante sia già stato prenotato dai Rolling Stones per il loro nuovo album “Black and Blue”. Ma c’era una finestra, una ventina di giorni liberi.
In soli diciotto giorni il lavoro è completato, proprio come per il primo volo degli Zeppelin, lasciando stupiti anche Jagger e compagnia che, al loro arrivo negli studi, li trovarono a completa disposizione.
In una sua intervista a Guitar World Magazine nel 1998, Page confessa che ha lavorato, in media, dalle diciotto alle venti ore al giorno negli studi Musicland: «Dopo che la band aveva finito di registrare tutte le sue parti, io e l’ingegnere del suono Keith Harwood, iniziammo a mixare decidendo di lavorare fino a che non ci saremmo addormentati. Chiunque si fosse svegliato per primo avrebbe poi svegliato l’altro, per continuare il nostro lavoro fino ad addormentarsi di nuovo. E così via».
La copertina viene creata da George Hardie per Hipgnosis (entrambi riceveranno la nomination al Grammy Award per la migliore copertina), in tutte le immagini presenti le persone interagiscono con un obelisco nero, chiamato “The Object” che intende rappresentare “the force and presence” (la forza e la presenza) dei Led Zeppelin.
«Non c’era un titolo per l’album, ma Hardie disse: “Quando penso al vostro gruppo, penso sempre alla vostra forza e potenza. Una presenza definita”. Così è arrivato il titolo “Presence”, e per me è molto importante quello c’è dietro al titolo. Con il riflesso dell’ansia totale e l’emozione di quel periodo, c’è un sacco di spontaneità in questo album». (Jimmy Page)
Il disco esce il 31 marzo del 1976 e, con le sole prenotazioni, raggiunge il primo posto in classifica negli Stati Uniti, con tre dischi di platino, e in Gran Bretagna. Ma nel giro di poche settimane le vendite calano e l’album scivola giù nelle chart. Non solo per le critiche altalenanti, ma piuttosto per la mancanza di tour a supporto a causa della convalescenza di Plant. E’ giusto ricordare che, a quei tempi, i tour servivano per lanciare i dischi che erano la principale fonte di guadagno, adesso le cose si sono invertite. Si fanno i dischi per potere fare i tour e potere guadagnare. Ma anche i Led Zeppelin ed il loro manager ci mettono del suo. Pochi mesi dopo esce un doppio album dal vivo “The Song Remains The Same” tratto dai concerti del 1973 al Madison Square Garden con relativo film, chi vi scrive lo ha visto almeno cinque o sei volte, che finisce per oscurare “Presence”.
«È un disco molto sottovalutato del loro catalogo. Nel connubio percussioni, basso, chitarra forse può mancare la versatilità dei precedenti set dei Led Zeppelin, ma in termini di energia pura “Presence” racchiude una notevole forza, forse una delle loro performance più intense. La chitarra di Jimmy Page ha uno stile che riflette l’urgenza e la passione per quel periodo travagliato che il gruppo stava attraversando». (Dave Lewis, The Complete Guide to the Music of Led Zeppelin)
Lato A
1 – Achilles Last Stand (Page, Plant)
L’album si apre con un capolavoro, un brano tirato all’ennesima potenza dove tutta la band da il meglio si se. Bonham suona la sua batteria in maniera esplosiva con Jones che lo segue con un basso che sembra la cavalcata di un puledro selvaggio. Plant, nonostante la sua menomata condizione, apre i toni della sua voce mentre Page renderà unico questo brano sovra incidendo tante parti di chitarra: “Quando l’abbiamo provata c’erano fondamentalmente due sezioni della canzone. Jones non pensava che riuscissi fare quello che avevo in mente, mi diceva che non sarebbe stato possibile fare una scala di accordi sopra ad una certa sezione. Invece ha funzionato. Orchestrando le chitarre in modo tale da dare un’impronta epica al sound, senza limitarmi alla semplice ripetizione del giro di accordi. Ho fatto tutte le sovra incisioni in una sola notte. “Achilles” forse è quella che preferisco, quando Ronnie Wood e Keith Richards (i due chitarristi dei Rolling Stones, ndr) sono venuti a sentirci suonare, Keith mi ha detto: «Dovresti prendere anche un altro chitarrista, stai velocemente diventando noto come il chitarrista più oberato del business. Molto divertente». (Jimmy Page)
2 – For Your Life (Page, Plant)
Plant scrive il testo della canzone a Malibu, osservando la quantità eccessiva di cocaina che, ormai, aveva pervaso e rovinato la scena musicale di Los Angeles. Una parte della canzone ha che fare con una sua conoscente, ben inserita nella corrida della polvere bianca, contro la quale il cantante punta il dito e dice: «Watch it. With the fine lines of the crystal, payin’ through your nose». Solo “Achilles Last Stand” e un altro brano, che ascolteremo tra poco, hanno fatto parte in pianta stabile nei tour dei Led Zeppelin dal 1977 in poi. “For Your Life” viene eseguita per la prima volta dal vivo in occasione di “Celebration Day” nel 2007, eccola
3 – Royal Orleans (Bonham, Jones, Page, Plant)
Arriva la canzone di alleggerimento, un funky che narra la presunta disavventura di John Paul Jones durante un tour negli Stati Uniti nei primi anni settanta, nel loro soggiorno al Royal Orleans Hotel. Pare che Jones imbrocchi una ragazza al bar dell’hotel e se la porta su in camera, ignorando che in realtà si tratti di un travestito. “Be careful how you choose it”, come recita il testo della canzone. L’azione prosegue con i due che si fanno un paio di canne e si addormentano, con lei che ha ancora il joint acceso. La camera prende fuoco, distruggendola completamente. In una intervista rilasciata al magazine “Mojo”, Jones ha voluto chiarire l’intera vicenda: «I travestiti erano in realtà amici di Richard Cole (il tour manager della band, ndr), persone amichevoli e piacevoli con le quali andare per bar. Che abbia scambiato una ragazza per un travestito è pura spazzatura, quello forse è successo in altro paese a qualcun altro, comunque è vero che “Stephanie” sia venuta in camera mia. Abbiamo rollato una canna e mi sono addormentato, quando mi sono svegliato la camera era piena di pompieri». (John Paul Jones, 2007)
Lato B
1 – Nobody’s Fault but Mine (Page, Plant)
Note inconfondibili per il secondo brano dell’album che sarà, poi, proposto nei concerti dei Led Zeppelin. Ancora una volta la firma del blues portato ai livelli del rock del dirigibile. Un adattamento da “It’s Nobody Fault but Mine” di Blind Willie Johnson, registrata nel 1927
Lo slide di Page e l’armonica di Plant, mai così incisiva, in perfetto stile “Delta Blues”, con Bonham e Jones in piena sintonia nell’enfasi sincopata di un brano da ricordare e tenere. Queste sono le prove del brano per il concerto della reunion del 2007: . Qualche anno prima, nel 1994, la premiata ditta Page & Plant la trasforma per il loro album “No Quarter”
2 – Candy Store Rock (Page, Plant)
È un rock and roll in perfetto stile degli anni cinquanta, riadattato a venti anni dopo ma senza esagerare. Plant, nel testo, non si lascia sfuggire citazioni per il suo idolo Elvis Presley. Il rock del negozio di caramelle.
3 – Hots On for Nowhere (Page, Plant)
La base della struttura della canzone va ricercata nell’album precedente, mentre il testo di Plant sfoga la sua frustrazione nei confronti dell’altra ditta, Page & Grant.
Il brano inizia con un intro violento per, poi, adagiarsi sulle note di un blues in una tonalità, di nota musicale, minore. Molti simile, o proprio uguale, a “Since I’ve Been Loving You” dall’album “III” (settima puntata, ndr) per poi esiliarsene, per poi tornarci e lasciarsi accarezzare, addormentandosi al sicuro di una calda coperta. Qualcuno, appena un po’ miope, ci ha visto il tentativo di replicare uno dei più intensi brani blues mai scritti. Secondo me, quindi siete esentati dal pensarla per forza come il sottoscritto, è stata solo la ricerca delle loro radici, Di quando c’era una casa fatta di pietra, da qualche parte nel Galles. Di un tempo felice, la voglia di tornarci per verificare quello che era cambiato, poi, nelle loro vite, oppure, per esorcizzare la rotta errata alla quale era stato costretto il dirigibile. Oppure, solamente, offrire un tea ad un cantante sulla sedia a rotelle.
– continua –