«Sono il fan dei Led Zeppelin più sfegatato al mondo. La loro musica, il modo nel quale la interpretavano, l’intera struttura del management, loro, sono stati il modello. I Queen suonavano sempre Immigrant Song durante le prove, per la potenza del suono». (Brian May, Queen)
Dopo le tiepide, a volte confuse, se non addirittura sprezzanti, critiche ricevute per “III” , la band si mette subito al lavoro per la loro quarta opera. Page & company si sentono offesi ed irritati dall’atteggiamento ostile, che andava ben oltre alla semplice critica musicale, soprattutto della stampa britannica. Già nel dicembre del 1970, solo due mesi dopo l’uscita di “III”, ritornano nella casa vittoriana di Headley Grange lavorando sull’immenso materiale venuto alla luce in tutti quei mesi, fino dai tempi del remoto cottage di Bron-Yr-Aur. Jimmy Page ricorda così quei momenti: «Headley era perfetta, una struttura dove potere avere una tazza di tea caldo ma anche di girovagare in quel giardino, per poi tornare dentro e fare il nostro lavoro».
Siamo già nel 1971, non viene programmato nessun tour, solo qualche sporadica, breve e anonima esibizione in piccoli club dove, a turno, viene testato il nuovo materiale. Mentre Jimmy Page confida alla band la sua opinione di come dovrebbe essere presentato il quarto album: «Dopo tutto quello schifo che avevamo ricevuto dai critici, proposi agli altri che sarebbe stata una buona idea fare uscire qualcosa di totalmente anonimo. All’inizio, volevo un solo simbolo che rappresentasse il disco ma, poi, si decise, dato che era il nostro quarto album e noi eravamo in quattro, che ognuno scegliesse il suo. Ho scelto il mio, e gli altri hanno avuto le loro ragioni per scegliersi il proprio». (Dave Schulps, “Interview with Jimmy Page”, Trosuser Press, 1977)
Page disegna il suo simbolo, che richiama quello risalente al sedicesimo secolo rappresentante Saturno. Plant diventa una piuma (lo spunto sembra essere preso da un icona della civiltà Mu) che simboleggia la base di tutte le filosofie. Jones e Bonham, invece, scelgono i propri simboli dal libro “Book of signs” di Rudolf Koch. Il primo sceglie , che intende simboleggiare fiducia e competenza, mentre Bonzo si affida ai tre cerchi intrecciati che rappresentano la triade madre, padre e figlio. Simbolo usato, leggermente modificato, dalla nobile e cristiana famiglia dei Borromeo di Milano. Mentre, se viene capovolta, diventa il marchio di uno dei più antichi e famosi birrifici degli Stati Uniti, la Ballantine Brewery.
Ormai è fatta, il prossimo album sarà completamente anonimo, senza il titolo e neppure il nome della band, un segnale preciso per chi li aveva voluti confinare in un determinato genere e non aveva accettato sonorità diverse. L’Atlantic Records fa di tutto per cambiare idea agli Zeps, ritenendo l’uscita di un LP completamente anonimo, un autentico suicidio commerciale. C’era l’illustre precedente dei Beatles, che avevano pubblicato un LP senza titolo (chiamato, poi, “The White Album”) ma, perlomeno, era ben leggibile il nome della band. I Led Zeppelin sono irremovibili e alla fine, dopo duri contrasti, piegano la casa discografica al loro volere.
Anonimi, perché la musica è la sola cosa che conta.
L’album senza nome, nella prima edizione non compare nemmeno il numero di catalogo dell’Atlantic Records, per comodità assumerà varie denominazioni, da “IV” , passando per “Untitled”, sino a “Zoso”, come se un simbolo, o un disegno, potessero avere un nome proprio.
La maggior parte dell’album viene registrato a Headley Grange, tra dicembre del 1970 e marzo del 1971 noleggiando, di nuovo, lo studio mobile dei Rolling Stones, coordinato da Ian Stewart, tastierista della band delle pietre rotolanti. In seguito il materiale verrà affinato negli studi londinesi della Island Studios con una puntigliosità tale che l’album viene pubblicato solo l’8 novembre del 1971, quattro mesi dopo la data prevista.
Il successo è strepitoso, risultando uno degli album più venduti nella storia. Trentacinque milioni di copie vendute (qualcuno stima che con le riedizioni su cd, compresa l’ultima edita da Jimmy Page nell’ottobre del 2014, non sia lontana la meta delle cinquanta milioni di copie), 260 settimane in classifica negli States, dove colleziona 23 dischi di platino, ricordate, un milione di copie per ognuno. Un successo planetario che darà nuovo vigore anche al tanto, all’ora, bistrattato “III”, certificando che c’è una band, la cui importanza, va oltre ai confini del presunto genere di appartenenza, regalando un’opera che diventa, da subito, un patrimonio della musica.
Un dato di fatto, aldilà di chi lo possa considerare il disco “perfetto”, quindi il migliore degli Zeps, oppure preferire altri LP, da “III” a quello che verrà rappresentato tra un paio di puntate.
In questi quarantatre anni trascorsi dalla sua nascita, è stato un album soppesato, passato ai raggi x, alla ricerca di un qualsiasi motivo per screditarne il valore, sino ad affibbiargli l’aura di essere un disco avvolto nel mistero e, forse, maledetto perché nato da un patto stipulato con il diavolo da Page. La solita abile manipolazione dei complottisti a posteriori, sia che siano spinti da un credo religioso (da sempre la musica rock, o blues, è stata considerata frutto di Satana, con i famosi solchi ascoltati con il disco che gira al contrario), oppure semplicemente la dietrologia di coloro ai quali non piacciono i Led Zeppelin. Ci sono quelli convinti che Headley Grange fosse stata, un tempo, un manicomio e, successivamente, un orfanotrofio dove erano stati perpetrati crimini inenarrabili, e per questo un luogo malefico. Scordandosi della rivolta del 1830 (se volete saperne di più, questo non è il posto dei fatti storici a se stanti, c’è un libro uscito nel 2002 “One Monday in november – The story of the Selborne and Headley Workhouse riots of 1830” di John Owen Smith) e che soprattutto la casa fu acquistata nel 1870 dal costruttore Thomas Kemp per 420 sterline, che la convertì in una residenza privata dandole il nome di Headley Grange. E’ tuttora una residenza privata che, occasionalmente, è stata affittata, in quanto acusticamente perfetta, oltre che ai Led Zeppelin anche ad artisti come Fleetwood Mac, Genesis e Peter Frampton. Certa è la passione per l’occultismo di Jimmy Page, in particolare, fino da adolescente, di Aleister Crowley, del quale collezionerà manoscritti e oggetti, sino ad acquistare Boloskine House, una villa ad un solo piano sulle rive del lago di Loch Ness, una delle dimore di Crowley. Personaggio misterioso, occultista, simbolista e ideatore della dottrina denominata “Thelema”, incentrata sulla magia cerimoniale che si proponeva di mettere al centro di tutto l’uomo, derivante dai riti magici dei druidi dell’epoca celtica. L’immagine di Crowley, insieme agli altri personaggi raffigurati, apparirà anche sulla copertina di “Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band” dei Beatles (dalla quale i dietrologi complottisti attingeranno nuova linfa sulla presunta morte di Sir Paul McCartney). E poi c’è il disegno all’interno della custodia dell’album, con l’eremita che si erge sulla collina in attesa del suo adepto, immagine che, per essere veduta correttamente, va ruotata all’indietro di novanta gradi.
Dietrologia, religione, auto suggestione, la voglia di accusare una delle band più famose del mondo capaci sì di essere magici, ma con la loro musica. Quattro ragazzi inglesi, poco più che ventenni, in cima al mondo.
Lato A
1 – Black Dog (Page, Plant, Jones)
La base ritmica del brano, forse quello dove la miscela di rock e blues zeppeliniana raggiunge il suo apice, viene composta da John Paul Jones. Il titolo prende spunto da un cane nero che si aggirava nei giardini di Headley Grange e i detrattori lo prenderanno a pretesto come l’ennesimo segno della presenza del maligno. Infatti l’indemoniato quadrupede apparteneva alla “famosissima” lugubre razza dei…labrador. Sebbene in là con gli anni, il cane scodinzolante per antonomasia, aveva affascinato gli Zeps più che altro per il suo ancora notevolissimo appetito sessuale ed il testo, infatti, è un urlo disperato al bisogno di uomo dell’amore di una donna, con la “felicità” che ne consegue per entrambi.
2 – Rock and Roll (Page, Plant, Jones, Bonham)
Il titolo dice tutto, è proprio un rock and roll, ma eseguito da quattro superbi interpreti, con l’aggiunta del pianoforte di Ian Stewart, diventa un pezzo leggendario. Ogni nota scandita, riconoscibile. Altri, in seguito, proveranno a cimentarsi in un’operazione simile, ottenendo solo rumore. Quindi, consiglio, riascoltatela e mettetevi a ballare il rock ‘n roll.
3 – The Battle of Evermore (Page, Plant)
È la grande ballata dell’album. I sorrisetti ironici dei critici, quando sentirono per la prima volta in “III” un mandolino tra le sonorità degli Zeppelin, si trasformano in stupore. Un brano intenso dove compare il quinto simbolo , quello di Sandy Danny, la cantante dei Fairport
Convention, insieme al suo controcanto in un pezzo che si ispira alle leggende celtiche e alle opere di Tolkien. Questa volta il mandolino lo suona Jimmy Page, mentre John Paul Jones si occupa delle chitarre. Nel set acustico dal vivo, sarà proprio Jones a sostituire la voce di Sandy, suonando una chitarra-mandolino a tre manici. La stessa che, molti anni dopo nel 1994, suonerà Jimmy Page, con la voce di Robert Plant (nel concerto voluto da MTV e che diventerà un album di successo, “No Quarter”), insieme alla Middle East Ensamble e la melodiosa voce di Najma Akhtar. Resta un mistero l’assenza di John Paul Jones da questa quasi reunion dei tre Zeps rimasti. Ancora oggi il fenomenale polistrumentista non riesce a darsi una spiegazione per la mancata chiamata, proprio come se gli fosse stato tolto qualcosa. Questo:
4 – Stairway to Heaven (Page, Plant)
È considerata la pietra miliare del gruppo, il passaporto definitivo per l’immortalità del volo del dirigibile. La canzone più conosciuta, il pezzo che ogni chitarrista, di qualsiasi livello, ha probabilmente suonato almeno una volta nella sua vita. Pur se mai pubblicata come singolo, cosa impossibile vista la sua durata e la complessità della struttura che impedisce qualsiasi taglio, è una delle canzoni più passate nelle radio di tutto il mondo. Insieme a “Imagine” di John Lennon e “Bohemian Rhapsody” dei Queen, continua ad alternarsi alla vetta della migliore canzone di tutti i tempi. Page inizia a comporla già nel cottage di Bron-Yr-Aur, ai tempi di “III”, e una prima stesura viene eseguita, dal vivo, nel marzo del 1971 in un club di Belfast. Per il testo, Plant prenderà l’ispirazione dalla letteratura celtica, in particolare dal libro di Lewis Spence “Magic Arts in Celtic Britain”, riempiendo la scala per il Paradiso di citazioni e personaggi onirici. Una complessità dove i dietrologi troveranno terreno fertile per confermare alla band le accuse di satanismo, non facendosi mancare neanche la perla del solito gioco di suonare il pezzo al contrario dove pare che si percepisca una lunga frase inneggiante a Satana.
Ma, ai giorni nostri, i Led Zeppelin devono fare i conti con qualcosa di molto più concreto. Il 31 marzo del 2014, presso una corte distrettuale della Pennsylvania, gli eredi di Randy California, insieme al bassista degli Spirit Mark Andes, citano in giudizio i Led Zeppelin con l’accusa di plagio del brano “Taurus”
In quarantatre anni il valore di “Starway” è stato stimato che abbia raggiunto i 560 milioni di dollari e, in tutto questo tempo, pare che Andes non si fosse accorto di una eventuale somiglianza tra i due brani, come dichiara a Businessweek: «Con loro facemmo qualche concerto insieme ma, in tutti questi anni, non mi ero mai accorto della somiglianza. È stata una epifania recente». (Mark Andes).
Ma perché attendere tutto questo tempo e, soprattutto, una struttura di un arpeggio in La minore di circa dieci secondi, può marchiare un brano della durata di otto minuti?
«Non, non, Hastings maintenant n’est pas le cas. Abbiamo ancora due dischi e mezzo da ascoltare, e uno dei due, è anche doppio».
Lato B
1 – Misty Mountain Hop (Page, Plant, Jones)
La voce di Plant e la stupenda batteria di Bonham trascinano la chitarra di Page e l’organo di Jones per un rock che narra degli episodi avvenuti a Hide Park nel 1968 durante una manifestazione per la legalizzazione della marijuana (Legalize Pot Rally) e gli arresti effettuati dalla polizia londinese. Venne pubblicata come lato B del 45 giri che conteneva “Black Dog”, pubblicato solo negli States e in Australia, ed ebbe un notevole successo radiofonico.
Il brano prende il titolo dalle quattro bacchette, due per mano, che Bonham usa per suonare la batteria. La leggenda narra di un Bonzo frustrato perché non riusciva ad ottenere, con sole due bacchette, il riff desiderato. Dopo avere afferrato la seconda coppia, inizia a percuotere i tamburi più forte che poteva, trovando il ritmo giusto per una canzone che richiederà, per la registrazione negli studi dell’Island, più tempo del solito.
3 – Going to California (Page, Plant)
Una splendida ballata folk dedicata, si sussurra, a Joni Mitchell, “with love in her eyes and flowers in her hair”, della quale, la famosa ditta Page-Plant, sono ammiratori. Nelle esecuzioni dal vivo del brano, Plant scandiva spesso il nome Joni dopo il verso “To find a queen without a king, they say she plays guitar and cries and sings”, che alcuni vogliono essere riferito al brano della Mitchell “I Had a King”. Non mi sono accorto se Plant lo ha fatto anche in questa occasione, ma è pur sempre un pezzo dell’acoustic set, che merita.
4 – When the Levee Breaks (Page, Plant, Jones, Bonham, Memphis Minnie)
Uno splendido e intenso blues, alla vecchia maniera, trainato dall’armonica a bocca suonata da Plant, chiude l’album senza nome. Il titolo e parte del testo, correttamente accreditati, si rifanno a ad un blues del 1929 inciso dal duo composto da Memphis Minnie e dal marito Kansas Joe McCoy (pubblicato, però, solo nel 1965), che narra della grande alluvione del Mississippi avvenuta nel 1927. I Led Zeppelin trasformano completamente il brano originale, pur mantenendone il significato intrinseco. Siccome ci sono sempre quelli che affermano che sia un plagio, nonostante l’autrice sia stata inserita nei crediti, e quelli che la considerano una cover, vi chiedo un ultimo sforzo. Ascoltate l’originale, tanto siamo alla fine della puntata.
– continua –