L’essere umano indossa una maschera che occulta la sua vera natura, ma viene giudicato per la maschera che indossa. È il paradosso borghese che Pirandello ha estremizzato in questo ‘apologo in tre atti’ come egli stesso lo definisce, scritto nel 1919 e tratto dalla novella “Richiamo all’obbligo”, non ben accolto alla sua prima rappresentazione.
Il tema si sviluppa su tre livelli: farsa, commedia e dramma, con pennellate di cinismo.
Tre sono le maschere coinvolte: quella dell’Uomo rispettabile indossata dal professor Paolino che cela la relazione con la signora Perella, madre del suo alunno Nonò che egli gratifica con voti alti e dolciumi per assecondarne i capricci; quella della Virtù che la signora ostenta con pudica alterigia, trascurata dal marito perennemente assente; e quella della Bestia, quale appare il marito, capitano di marina, che convive a Napoli con una donna e tre figli, manifestando ostracismo per la legittima consorte nelle rare occasioni in cui torna a casa.
Questi equilibri si sono consolidati, solo l’imprevisto li può alterare. E l’imprevisto arriva: la signora è incinta. Occorre sovvertire l’ordine delle cose affinché le maschere possano rimanere al loro posto. Il rispettabile professore architetta un piano da mettere in atto col concorso dell’amico dottore. Al capitano dovrà essere somministrato un potente afrodisiaco che risvegli la sua libido verso la moglie. Il grottesco raggiunge il suo acme quando Paolino cerca di indurre la riottosa amante ad atteggiarsi a maliarda per sedurre il renitente coniuge.
Il piano avrà successo? La ritrosia della donna e la resistenza del marito alimentano i dubbi. Il segnale convenuto del vaso d gerani alla finestra, la mattina successiva non arriva. Ma, dopo un serrato confronto tra il professore e il capitano, la donna mette sul davanzale cinque vasi di gerani…
Paolino, adesso, si accusa di essere una bestia, il capitano afferma che bisogna essere uomini, cosa facile con una moglie personificazione della virtù: ancora maschere, rimescolate. Ipocrisia? Il professore aveva spiegato al suo allievo che il significato del greco ‘upocritès’ è ‘colui che recita una parte per professione, ma è male se si è ipocriti per gusto’ e lui, pover’uomo, si è trovato ad essere ipocrita per necessità!
Geppy Gleijeses, Lello Arena e Marianella Bargilli bene si identificano con le loro maschere, compresa la governante truccata con le fattezze animalesche della vecchia gallina descritta nelle didascalie dallo stesso Pirandello.
Gleijeses è sempre in scena, instancabilmente, affannosamente protagonista. Diventa antagonista con l’arrivo del marito, un Lello Arena burbero e intransigente quasi oltre le righe, aiutato dal fisico possente e dalla voce cavernosa. La Bargilli è troppo filiforme e raffinata per essere totalmente credibile nelle vesti della donna procace che deve sedurre un uomo inespugnabile come il marito.
La regia di Giuseppe Dipasquale dà un’impronta estremamente vitale ai protagonisti maschili, mentre il personaggio femminile assume addirittura movenze da marionetta al loro cospetto, priva di volontà e di vita propria. È tale l’annientamento della sua personalità che ripete l’apologo della pianta nata da un seme gettato in un terreno abbandonato, recitato poco prima dal professore, quasi a far propria la volontà di lui.
Bravi Mimmo Mignemi (il dottore), Renata Zamengo (la domestica) e Vincenzo Leto (il figlio).
Le scene algide e minimaliste sono di Paolo Calafiore, Adele Bargilli ha disegnato gli eleganti costumi della signora e l’eccentrica giacchetta trasparente del professore.