Mobili accatastati, sedie impolverate, armadi, tavoli, materassi, letti, stoviglie, giocattoli, valige, fotografie. Oggetti ammassati destinati a deperire e logorarsi in un vecchio deposito, il “Magazzino 18” del Porto Vecchio di Trieste che dà anche il nome allo spettacolo di Simone Cristicchi per la regia di Antonio Calenda, andato in scena all’Arena del Sole di Bologna. Dentro questo magazzino non ci sono solo oggetti, ma una parte della storia italiana risucchiata nell’oblio e nell’indifferenza collettiva: l’esodo Giuliano-Dalmata che, come dice Cristicchi, non è un nome di persona, ma la denominazione della diaspora forzata dei cittadini italiani dalle terre di Istria, Fiume e Dalmata che si verificò dalla fine della Seconda Guerra mondiale, il dramma delle foibe e della condizione dei “rimasti”, tutti coloro che decisero di non abbandonare quelle terre. Il cantautore romano decide, insieme a Jon Bernas autore del libro “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani” al quale la pièce è ispirata, di aprire una pagina di storia molto complicata e intricata ideando una sorta di “Musical-Civile”.
Solo in scena per gran parte del tempo, Simone Cristicchi interpreta vari personaggi e canta canzoni inedite da lui composte per l’occasione. Un grande supporto però si cela nel proscenio: l’Orchestra e Coro di Voci Bianche – con i bambini che in alcune occasioni condividono la scena con il cantautore – del Teatro Comunale di Bologna diretti dal Maestro Valter Sivilotti. Uno schermo separa l’orchestra dal palcoscenico. Schermo nel quale sono proiettate immagini del magazzino, foto dell’epoca, mappe che servono per aumentare il pathos e per spiegare meglio l’andamento dei fatti.
Il Dott. Persichetti (Simone Cristicchi), archivista romano, viene spedito dal Ministero degli Interni per fare un inventario completo sulle masserizie presenti. Soprabito, valigetta, andatura ciondolante, Persichetti riporta subito alla mente la tipologia dell’uomo medio, ai film di Alberto Sordi con i suoi personaggi egoisti, menefreghisti e un po’ ignoranti. E anche lui, come nelle pellicole di Sordi, passerà da un disinteresse totale a una maggiore consapevolezza di ciò che lo circonda. Per fare questo viaggio dentro la propria coscienza sarà aiutato dallo “Spirito delle masserizie” interpretato sempre da Cristicchi, personaggio decisamente più drammatico e toccante, che avrà il compito di narrare la storia che si cela dietro quegli oggetti. Inizierà con il trattato di pace del 1947, in cui l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia costiera e circa 300 mila persone scelsero di lasciare la loro terra natia, destinata a diventare Jugoslava, e trasferirsi in Italia. Lo spirito parlerà poi dei massacri delle foibe, della difficile situazione dei “rimasti”, dell’operaio monfalconese che decide di andare in Jugoslavia e, per finire, del lager comunista Goli Otok.
Tante sono le storie che s’intrecciano nella vicenda Giuliano-Dalmata e Simone Cristicchi cerca di raccontarle in uno spettacolo di due ore circa. La storia s’intreccia con la drammaturgia e con le canzoni e musiche inedite eseguite dal vivo. Uno spettacolo di teatro non basta sicuramente per farsi una precisa idea di come si svolsero i fatti, per chi di questa storia sapeva poco. Esso però può avere il merito di mettere l’accento su eventi di cui si conosce poco, con la speranza che qualche spettatore curioso vada a indagare su fatti accaduti non più di settant’anni fa.