Testo e Regia: Renato Sarti
Presenta: Giulia Lazzarini
Musiche: Carlo Boccadoro
Scene: Carlo Sala
Luci: Claudio de Pace
Produzione: Teatro della Cooperativa
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Un monologo intenso e coinvolgente composto da Renato Sarti e affidato sul palco alla forza espressiva di Giulia Lazzarini.
I due grandi esponenti del teatro milanese – l’uno è premio Idi 1986 e fondatore del Teatro della Cooperativa, l’altra è stata attrice protagonista in memorabili spettacoli strehleriani – collaborano all’allestimento di un’opera abile a pizzicare le più sensibili corde del pensiero e dell’emozione: dal testo emerge un’energia rara, un’energia che è intima compagna di alcune esperienze a tal punto vive e vere da cambiare lo sguardo delle persone sulla realtà – esperienze come quelle che hanno segnato l’infermiera Mariuccia Giacomini, la cui testimonianza costituisce il fondamento dell’opera.
La cadenza dell’accento friulano plasma la messinscena: è l’eco di una quotidianità che permette da una parte di coinvolgere maggiormente l’uditorio, dall’altra di allontanare in modo deciso lo spettro di una mitizzazione del movimento basagliano.
Esistono muri che separano, il caso di Berlino è il più noto, muri che proteggono, naturale è pensare alla propria casa, e infine esistono muri che, come quelli di manicomi e prigioni, rinchiudono.
Nel Gennaio 1968 la signora Giacomini inizia il servizio come infermiera presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste, un mondo che conosce solo le righe verticali delle divise del personale e i motivi floreali sui lunghi camici dei malati, un mondo che assiste a continue violenze sul più debole, un mondo che sprofonda nel silenzio assoluto a cui è costretta una popolazione composta da secondini e reclusi: è un luogo di annichilimento.
Quando nel 1971 l’intervento a Trieste di Franco Basaglia abbatte la parete che si pone fra utente e operatore sanitario, Mariuccia scopre con sua grande sorpresa che le persone che per anni sono parse “statue di cera” hanno passione e interessi.
Nonostante gli ottimi risultati il progetto di Basaglia mira ancora più in alto: si deve combattere il problema là dove nasce, si deve mettere in discussione il sistema e la società. L’opera a questo punto si volge a nuovi orizzonti ed esorta con forza ad abbattere gli altri muri che imprigionano l’uomo: “gli schemi e i super-io”, la paura e l’indifferenza. Quali potrebbero essere le metaforiche ruspe con cui operare? Senza dubbio il rispetto reciproco, vero antidoto alla violenza, e l’empatia, unico sentimento che permette un autentico e sano confronto: caduto il muro, ci si può finalmente specchiare nell’altro.
Particolarmente significativa la scena finale in cui una ormai pensionata Mariuccia riflette su come potrebbe migliorare il proprio operato di volontaria: l’illusione di aver raggiunto risultati definitivi è innalzare un muro davanti a sé quando, come questo spettacolo dimostra, “manicomio è soprattutto modo di pensare”.