adattamento e regia Francesco Falsettini
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Nel 1948, quando la Guerra era ormai passata e Agatha Christie mandava Poirot alla deriva, tale Anthony Pratt, pianista, inventava il celebre gioco da tavolo Cluedo, sperando forse in un successo migliore di quello ottenuto con la carriera musicale, ma non certo immaginando che ne sarebbero nati film e spettacoli teatrali.
La compagnia Seconda Volta apre le porte del Lumière a spettatori di tutte le età e si cimenta in un genere brioso che tende al surreale, incontrando sul palco scenico tutte le asperità che un gioco in scatola o una macchina da presa riescono a smussare se non a levigare del tutto.
New England. Una villetta da brividi imprigiona un arguto maggiordomo, un’ammaliante cameriera e una cuoca dall’aspetto un po’ macabro e sei individui, che scopriranno solo dopo il primo bicchiere di brandy di avere, loro malgrado, qualcosa che li accomuna: ognuno di loro, molle rappresentante dell’inerte aristocrazia, si è lasciato andare a qualche lussuoso vizio, o ha ceduto a un istinto violento, compromettendo un’immagine per cui sono tutti disposti a pagare. Il loro ricattatore non tarda a farsi vivo, anche se per poco… Gli scheletri nell’armadio degli ospiti sono soltanto l’anticamera dei corpi senza vita ritrovati dal gruppo di improvvisati investigatori, che si vedono costretti ad ammettere che il colpevole si nasconde tra loro e che, per salvarsi, devono scoprire chi sia. Le reciproche accuse, il surrealismo delle situazioni, il ritmo sguaiatamente concitato trasformano sì il giallo – come scrive il regista – in una parodia di se stesso, senza però privarlo di una delle sue componenti fondamentali: la curiosità. Se la tensione è smorzata dalla comicità, una comicità pura perché primitiva, nelle parole come nei gesti, lo spettatore non può fare a meno di chiedersi dietro quale caricatura si celi il freddo assassino. Se dietro la macchiata rigidità del colonnello Mustard, o il languido sguardo della signorina Scarlett – in un deludente abito azzurro, con un richiamo al cognome solo nel rosso laccato delle scarpe – o l’esasperata leggerezza della signora Peacock ,tanto per formulare qualche ipotesi.
La compagnia non può che sentirsi il palco stretto, e la dinamica scenica è inevitabilmente strozzata dagli spazi, ma lo stesso non può dirsi della dinamica ludica, del fattore incognita proprio del Cluedo in scatola, che è gradevolmente conservata, e il finale lasciato alla fantasia dello spettatore-giocatore.