Gabriele Lavia ritorna alla Pergola e lo vediamo questa volta alle prese con “Sinfonia d’autunno”, trasposizione teatrale del film diretto e scritto dal regista svedese Ingmar Bergman uscito nella sale nel 1978.
Lavia quindi, optando per un testo di Bergam, decide di portare sulla scena un dramma del “ritorno al passato”, all’infanzia. Nel testo di Bergman c’è il disperato bisogno di uscire da una condizione di dichiarata solitudine e di tremenda tragicità interiore, di rompere gli schemi del rimpianto del passato, di ciò che non si può recuperare perché ormai frutto di rapporti incancreniti e irrigiditi in vecchie dinamiche. Quello che resta è solo una straziante solitudine che perfora ogni quarta parete del teatro ed attanaglia l’animo del pubblico.
Questo ci porta Lavia sul palco e questo era Bergman al cinema. A regnare è la solitudine. Non per niente il titolo originale del film era Höstsonaten che tradotto in italiano sarebbe “sonata” e non “sinfonia”, questo perché Bergman vedeva nel dramma personaggi singoli a confronto e non un’orchestra di elementi che agiscono insieme.
E così, in modo perfetto, fanno gli attori di questo spettacolo. Sulla scena una straordinaria Anna Maria Guarnieri che interpreta Charlotte, madre di due donne devastate, la maggiore a cui è morto il figlio prima che compisse 4 anni a causa di un tragico incidente e la seconda profondamente malata al punto da renderla handicappata.
Charlotte un giorno piomberà in casa della figlia Eva, la maggiore, che non vedeva da 7 anni e da questa invitata dopo che alla madre le era morto il compagno. Charlotte vuole andarsene subito dopo aver appreso che nella sperduta casa norvegese tra i fiordi di Eva e del marito Viktor non sono soli, ma vive da due anni anche la figlia minore, Helena, che la madre anni prima aveva provveduto a mettere in una casa di cura. La donna non riesce ad affrontare l’esistenza con una figlia malata, non riesce a darle amore, per questo unica soluzione fino a questo momento è stata quella di non vederla; allo stesso modo non vuole vedere tutti i problemi che attanagliano la vita e i suoi rapporti con gli altri, a partire dal rapporto con Eva, interpretata dalla magrissima Valeria Milillo, fragile figura in un ambiente che Lavia restituisce freddo e angosciante attraverso la un salotto asettico dalle tinte grigio moderne.
Tutto rimane, nel dramma di Bergman come in quello di Lavia, irrisolto; attraverso l’esplosione di lunghi dialoghi o battute spezzati da urla soffocate o atroci quello che viene trasmesso in tutta questa verbalità è solo un lungo silenzio, un’impossibilità di comunicare all’altro il proprio dolore, lo sconforto, il rimpianto e il proprio amore.