Sui quotidiani del giorno dopo non hanno scritto che è stata brava, ma hanno scritto che è caduta, non hanno incolpato la precarietà del leggio cui si è inavvertitamente appoggiata (chiunque sarebbe caduto, anche loro), ma hanno incolpato la sua malattia.
A teatro dovrebbero venire i critici teatrali, non i cronisti.
Anna Marchesini è stata ed è una grande attrice, singolare per acume e capacità d’analisi a forte carica umoristica.
Ho ancora vivo il ricordo di un esilarante spettacolo del trio Marchesini-Lopez-Solenghi visto al Teatro Gentile di Fabriano tanti anni fa, dove era inserito uno dei più noti sketch teatrali del trio Non esiste più la mezza stagione, ho seguito in TV tutti i personaggi coniati dalla sottile sarcastica ironia della Marchesini, ho riso a dismisura con la cameriera secca dei Signori Montagné, con l’accartocciamento di alcuni verbi come “precipitandovicisi” della cecata Signorina Carlo, che tutti chiamavano signora, nonostante la sua precisazione di essere signorina, con il pudore della sessuologa Merope Generosa che «E dai che ti ridai…» finiva sempre “lì”, per non parlare della rilettura parodistica de “I Promessi sposi” e degli innumerevoli personaggi parodiati con argomentazioni vivaci e dettagliata caratterizzazione. Tutte interpretazioni di grande impatto sul pubblico, perché create da un talento comico fuori dal comune.
L’argomento di questa performance al Teatro Rossini di Pesaro è la storia del professor Cirino Pascarella in pensione, un uomo riservato dall’esistenza piatta e monotona che vive in una locanda, gestita dalla cicciona signora Olimpia, gentile con lui perché vorrebbe dargli in sposa sua figlia Marilda, una spilungona quarantenne ormai sulla soglia dello zitellaggio. Ma il professore neanche la vede ed è refrattario a qualsiasi contatto umano. In questo limbo freddo e nebbioso una luce scuote il letargo del professore: la luce di una finestra dirimpettaia che mette a nudo, non solo simbolicamente, la figura di un atletico giovanotto, la cui visione gli fa passare i brividi lungo la schiena, perché in lui vede la sua vita non vissuta, e diventa il suo consueto appuntamento serale al buio fino a quando la luce non si accenderà più. Allora il professore, che aveva avuto una boccata d’aria fresca, viene nuovamente soffocato dall’afa della sua vita e se ne va dalla locanda.
Ce n’è di materiale per stimolare la fantasia creativa e la sottile verve comica di una scrittrice/attrice come la Marchesini. La mole spropositata della signora Olimpia, ad esempio, si presta ad una minuta descrizione grottesca e caricaturale che suscita ilarità e fa ridere anche la morte di suo marito soffocato nel letto come sotto una slavina.
Cirino e Marilda non si può fare, questo il titolo dello spettacolo, è l’ultimo capitolo della raccolta Moscerine, libro di Anna Marchesini recentemente pubblicato da Rizzoli.
L’attrice legge il testo in palcoscenico, è una sorta di monologo in cui s’inseriscono gli stati d’animo, i caratteri e le voci dei vari personaggi. Inizialmente si avverte un po’ di titubanza nella parola, ma lo stile è subito riconoscibile. La lettura è teatrale con frasi sospirate e altre sarcastiche, sillabe strascicate e dilatate, vocali stiracchiate e prolungate, parole accarezzate, altre graffiate, altre scandite, altre velocizzate con scansione ritmica adeguata, parole dette e non dette, spezzate o ripetute parossisticamente, mugugni, doppi sensi, discorsi accartocciati, forte scavo della parola per restituirla ricca di significato e d’espressività. Una maestra del funambolismo verbale che, nonostante la sua posizione ferma, partecipa col corpo, con le mani, con gli occhi.
E noi ridiamo, certo che ridiamo, ma è un riso amaro perché dietro c’è la solitudine, ci sono le disillusioni, c’è il silenzio.
La figura diafana dell’attrice, con capelli raccolti, abito bianco e scarpe rosse, seduta su un podio davanti ad un leggio, emerge dal buio del palcoscenico.
L’avrei vista meglio con una capigliatura riccia e voluminosa e magari un paio di occhialini neri.
A fianco i tre musicisti del trio Aire de Mar con chitarra, sax e batteria ogni tanto accompagnavano la sua recitazione o intervenivano nei momenti di pausa, alla fine hanno suonato la nota canzone di Bruno Martino “Odio l’estate” per sottolineare l’afa della vita del professore.