La vita, sfiorata dall’impalpabile attimo del presente, si nutre dei ricordi del passato e si proietta nei sogni sul futuro.
Maria ha settantadue anni e non sogna più da tempo. Sola, il figlio emigrato in Canada, il marito sparito da trent’anni, per continuare a sentirsi viva lotta con i ricordi che vogliono abbandonarla. Per tenerli ancora con sé, suoi unici compagni, se li ripassa continuamente tentando di riempirsene la testa che pian piano sembra svuotarsi. La professoressa non rammenta più i nomi e i visi dei suoi alunni, si aggrappa solo alla memoria dei suoi due amori dicendo a se stessa “devo ripetere la mia vita con le parole che mi restano, come una poesia imparata a memoria, ma sento che ogni giorno perdo una strofa … ogni giorno mi predispongo alla fatica dell’inventario … finché le parole resistono forse resiste anche il passato … poi il pugno si apre e tutto cade”. Un fiume di parole che Maria riversa su Gabriele, un giovane agente immobiliare che si materializza per aiutarla a vendere la casa di campagna a poca distanza da Roma. La visita alla casa rende più vividi i ricordi, che affiorando si susseguono e prepotentemente fiottano.
Maria e Gabriele tornano quotidianamente a sedersi sulla panchina in giardino e la casa sembra parlare delle vite che ha visto trascorrere, trasudando timori, gioie, tormenti che seguono l’alternarsi delle stagioni e il rifiorire del rampicante “ogni casa è un labirinto e bisogna trovare la porta per uscire e rientrare”.
Maria continua a raccontare: ha vent’anni. Sulla piazza la sua attenzione è attratta da un uomo con la giacca illuminata da piccole lampadine intermittenti che fa cose strampalate come “respirare con le orecchie” pronunciando frasi poetiche prive di senso mentre effettua piccoli giochi di magia. È il mago Vapore, nei cui occhi azzurri Maria annega “ho capito che quell’uomo era un guaio che avrei tenuto con me finché morte non ci separi”. Di Augusto ricorda tutto, i gesti, le parole, i comportamenti giocosi, il carattere inconcludente che lo faceva essere felice dell’insensatezza della vita. Non era la vita che lei aveva sognato “un bambino che gioca …, un uomo che bada ai conti … così avrei voluto la mia vita di donna. Eppure quello era il mio posto, sempre in bilico sul bordo di una foglia, in una vita che era una goccia di vapore”. È leggera l’esistenza con Augusto, che le regala un altro amore. Pietro cresce e Vapore a volte sparisce dentro le sue nebbie, per riapparire più funambolico di prima. Pietro diventa un giovane studente, idealista e rivoluzionario, che combatte le ingiustizie e vuole cambiare il mondo.
La casa è muta testimone dell’insanabile conflitto: il padre felice di vivere nel mondo che il figlio vorrebbe distruggere.
Poi, la solitudine: l’uomo scompare definitivamente e il ragazzo se ne va in Canada. Adesso Maria vive di nostalgia e cerca una catarsi.
Con questa figura femminile Marco Lodoli chiude la trilogia iniziata con Sorella (2008) e proseguita con Italia (2010), e così descrive il romanzo da cui è tratto l’adattamento teatrale: “L’opera rappresenta l’accostamento dei contrari, due vite fuori dai canoni, marginali. Il padre evanescente, perennemente in fuga dalle responsabilità è felice, il figlio soffre per i dolori del mondo. La madre è concreta, priva di slanci sociali ma sensibile al mistero dell’esistenza”.
La regia di Oliviero Corbetta rende tangibile l’atmosfera intimista ispirata dal flusso di parole di Giuliana Lojodice, che vive emotivamente il racconto con magistrale empatia. Alessandro Lussiana la incalza e la asseconda con tenera condivisione. Le scene di Daniela Vassallo e i video di Massimo Violato sono di particolare suggestione e incisiva plasticità, ricreando l’immagine tridimensionale della casa proiettata su un velatino, seguendo il ritmo delle stagioni e gli umori dei suoi abitanti, in armonica sintonia con le musiche di Giorgio Li Calzi.