Tragedia per musica in tre atti
Libretto di Ranieri de’ Calzabigi dall’omonima tragedia di Euripide
Musica di Christoph Willibald Gluck
Versione originale in italiano, Vienna 1767
Prima rappresentazione a Venezia
Personaggi e interpreti:
Admeto: Marlin Miller
Alceste: Carmela Remigio
Eumelo: Ludovico Furlani
Aspasia: Anita Teodoro
Evandro: Giorgio Misseri
Ismene: Zuzana Marková
Un banditore/Oracolo: Armando Gabba
Gran sacerdote d’Apollo/Apollo: Vincenzo Nizzardo
Cittadini, damigelle d’Alceste, un nume infernale: Ester Salaro, Alessandra Vavasori, Salvatore De Benedetto, Emanuele Pedrini
Maestro concertatore e direttore: Guillaume Tourniaire
Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi
Light designer: Vincenzo Raponi
Movimenti coreografici: Roberto Pizzuto
Orchestra e Coro del Teatro la Fenice
Maestro del Coro: Claudio Marino Moretti
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del Coro: Diana D’Alessio
Continuo: Roberta Ferrari, cembalo; Alessando Zanardi, violoncello
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel tricentenario della nascita di Christoph Willibald Gluck (1714) in coproduzione con la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
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Alceste ha varcato per la prima volta le soglie del Teatro La Fenice, nella versione originale italiana del 1767, portando sul palco della Fondazione una primaverile ventata di bellezza. La sua portata innovativa sta nello scarto, necessario per Gluck e Calzabigi, dalla tradizione musicale italiana: non più virtuosismi fini a se stessi, ma un canto naturale; non più recitativi secchi, ma concertati; non più la musica padrona del verso, ma subordinata alla poesia. Soprattutto, soggetti atti a suscitare molteplici “maniere di meraviglioso”, come precettò Francesco Algarotti nel Saggio sopra l’opera in musica del 1755, manifesto ideale della riforma gluckiana.
L’arte di Pier Luigi Pizzi si esplica attraverso soluzioni mai invasive, apparentemente tradizionali, ma in realtà espressione di un’estetica patinata, elegante e sovente attuale. “Bellezza è volume, bellezza è grandezza” ebbe a scrivere Giovanni Morelli anni orsono in una poetica parafrasi della prefazione all’Alceste stampata del 1769. Pare quasi che il maestro si sia ispirato a tale motto. Egli valorizza i pieni e i vuoti per mezzo di arcate d’inconfondibile classicismo fascista, dietro le quali un pannello scorrevole ricrea differenti spazi scenici. I costumi, raffinati e vaporosi, vertono su due unici colori, bianco e nero, dualistiche cromie delle forze agenti nel dramma – male vs bene, morte vs vita, maschile vs femminile. La regia consta di gesti studiati nel nome di una frontalità oratoriale, ma anche tragica, permeata di chiaroscuri da bassorilievo ellenico. Le luci di Vincenzo Raponi assecondano i desideri di Pizzi, particolarmente intense nell’evocazione dei numi infernali e adeguate a risaltare il candore abbacinante delle vesti.
Parzialmente soddisfacente il cast. Carmela Remigio si conferma una delle più valide e complete artiste del panorama lirico odierno: sapienza nel gesto scenico, superbia nella parte, signorilità nel canto sono le caratteristiche che hanno reso la sua Alceste assai convincente. Perfetta Zuzana Marková, Ismene sublime e femminile nelle movenze aggraziate, padrona del bel timbro e del saldo registro acuto, prova ne è l’accorato Parto…ma senti… Giorgio Misseri progredisce rispetto ai precedenti ruoli, portando a casa una delle interpretazioni migliori. La voce è calda, sempre armoniosa, mai stonata, e bene risolve l’acuto di Or che morte. Ottimo Vincenzo Nizzardo. Pessime l’intonazione e la dizione di Marlin Miller, del tutto fuori parte, difetti che hanno reso il suo Admeto poco gradevole alle orecchie. Ai limiti delle loro possibilità Ludovico Furlani e Anita Teodoro, i figli dei sovrani di Fera, a causa probabilmente del fattore emozione vista la tenera età, mentre è dimenticabile la prestazione di Armando Gabba, anch’esso carente d’intonazione.
Alceste necessita di una compagine corale di spessore, rivestendo essa la funzione di commento all’azione. Ottimo il lavoro svolto dal maestro Claudio Marino Moretti, che ha permesso al Coro di assestarsi su livelli ben più alti del solito.
La direzione pulita e senza pretese di Guillaume Tourniaire rispecchia nella musica quella compostezza statuaria che il regista impone nelle scene.
Applausi per tutti, in particolare per Remigio, Marková e Miller. A Pizzi, presente in barcaccia quale vigile e paterno osservatore della sua maestosa creazione, il pubblico ha riservato un caloroso e commovente apprezzamento.