Il rapporto Kinsey sulle abitudini sessuali degli esseri umani sconvolse il mondo negli anni ’60, svelando le viziose condotte degli americani sotto le lenzuola. Antonio Cornacchione, con le sue Cronache sessuali, ne propone una rivisitazione in tutto e per tutto all’italiana. La sua comicità schietta, mai appesantita da pleonastiche omelie, stimola e subito scioglie l’imbarazzo della platea, suggerito anche dall’espediente del repentino cambio di argomento. Cornacchione non rinuncia, infatti, malgrado la specificazione del titolo, ad affrontare anche un altro genere di cronaca, quella di cui è sempre stato salace esaminatore e dalla quale più spesso lo abbiamo visto trarre ispirazione. I maliziosi vedranno uno stretto collegamento tra i due temi trattati, i romantici percepiranno una qualche nostalgia del comico per il protagonista dei suoi pezzi più celebri, fatto sta che il nome di Berlusconi riecheggia per tutta la prima parte dello spettacolo. E non vengono risparmiati altri noti personaggi della scena politica, da Brunetta a Gasparri, fino all’inevitabile menzione del sindaco Nardella e del presidente del Consiglio Renzi, in una vivace parentesi espressamente dedicata alla città ospitante. Poi l’attore si avvicina al leggìo, l’atmosfera si fa per un attimo seria, di attesa, e si passa alle vere e proprie ”Cronache sessuali”. Il rapporto Cornacchione analizza i comportamenti sessuali degli italiani quando ormai ogni tabù è stato superato e nessuna piccola perversione sembra più indecorosa. Dal punto di vista dello scienziato, dell’antropologo, la strada è spianata dalla rivoluzione sessuale degli anni ’70 e dal lassismo degli ultimi decenni, ma da quello del comico, l’ambizione si fa ardua. Parlare di sesso negli anni ’60 era scomodo perché nessuno lo faceva, oggi è difficile riderne perché ne parlano tutti e il rischio non è soltanto quello di ripetere il già detto, ma anche di non riuscire a far scattare quek meccanismo che si impernia sul pudore e sulla peccaminosità, sulla riservatezza e sull’eccentricità, e che trasforma il ridicolo in risibile. Cornacchione, con questa consapevolezza, affronta il tema proprio partendo dalla sua neonata divulgazione, dalla sua massiccia presenza in una società che lo presenta, di volta in volta, come novità, conquista, sconcezza, banalità. Ci si chiede se sia davvero indice di libertà espressiva o se questa acclamata rivoluzione degli anni ’70 non si sia piuttosto rivelata una falsa speranza, se abbia provocato una reale apertura mentale o abbia contribuito invece a una più netta e crudele distinzione tra chi ne ha tratto vantaggio d’immagine e chi si è relegato nella propria insoddisfazione. Cornacchione riesce a rimanere nei limiti senza essere scontato, a calcare la mano, quando è funzionale alla comicità del testo, senza scadere nella volgarità, e far ridere lo spettatore senza che se ne vergogni con quello seduto accanto.