Premettiamo che in Beckett, definito esistenzialista anticonformista, l’assurdità di esistere e l’insignificanza delle parole conferma quello che Theodor W. Adorno definisce il “non significar nulla che diventa l’unico significato” ossia la costruzione dell’insensato.
Finale di partita è una commedia che si deve vedere per l’originalità della forma, del linguaggio e del pensiero che sconcerta e affascina, ma non va rivisto in tempi brevi altrimenti, mancando lo shock iniziale, conoscendo l’assenza di ogni esegesi logica, la mancata consequenzialità dei contenuti e la frammentazione del dialogo, la decomposizione del linguaggio (quel che accade sul palcoscenico trascende e spesso contraddice le parole pronunciate dai personaggi) la conoscenza fa venir meno l’interesse e la mancanza di stimoli genera assuefazione, stanchezza. In queste righe ho descritto il mio stato d’animo, la mia reazione “affaticata” quando ieri sera mi sono lasciato tentare dal “Finale di partita” al Teatro Franco Parenti per vedere l’interpretazione di Lello Arena e la regia di Lluis Pasqual.
L’atto unico vede protagonista Hamm, un vecchio signore giunto al termine della sua esistenza. È lui il pezzo del re in questo finale di partita. Lo stesso Beckett spiegò: “Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin dall’inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile”.
L’azione (o meglio l’inazione) si svolge nel chiuso di una stanza (rifugio post’atomico) grigia con due finestre simmetriche nelle pareti metalliche e una porta di lato in cui vivono il loro tragico finale di partita Hamm, cieco e paralizzato sulla sedia a rotelle e pupille spente sotto gli occhiali neri, Clov figlio/servo e i vecchi genitori (Nell e Nagg), ridotti a monconi, che vegetano all’interno di due bidoni della spazzatura. La stanza è un non luogo, un universo chiuso con due finestre che si aprono rispettivamente sulla Terra e sul Mare, spazi vuoti senza nulla e senza tempo, né un prima, né un dopo. La condizione che li circonda è il crepuscolo che precede la fine. Hamm e Clov sono due parti di un’unica persona che si dividono il peso delle maledizioni fisiche, se uno è cieco e non può muoversi, l’altro non può sedersi. Si dividono anche la disperazione con qualità e spessori diversi quella di Clov è più tagliente e beffarda, quella di Hamm che nella sua fissità cimiteriale inventa e si racconta ogni giorno delle storie un impossibile romanzo e obbliga il figlio/servo ad ascoltare e lo tormenta con ordini assurdi e immediati contrordini. Ma Clov – anche lui infermo – reagisce e ricatta il padre con la minaccia di abbandonarlo. Ogni personaggio dunque è al tempo stesso aguzzino e vittima. Le domande assurde di Hamm e le risposte di Clov, in quel contesto hanno una straziante carica comica perché, dice Nell emergendo dal bidone; “nulla è più comico dell’infelicità”.
Tutto lascia pensare che ogni traccia di vita sulla Terra sia stata cancellata. Fuori, alla domanda del padre, Clov risponde “non c’è più natura” “non esiste più tempo”. I quattro personaggi sono gli unici superstiti che trascorrono i loro ultimi giorni, hanno superato la soglia della speranza e accettato la consapevolezza indolore del nulla. E’ la denuncia della solitudine dell’io di fronte al mondo e l’inutilità e l’assurdità di esistere non avendo una risposta alla domanda: che cosa vuol dire esistere?
Lluis Pasqual con grande intelligenza riesce ad esaltare l’aspetto ironico di macabra comicità e a far balenare alcuni aspetti grotteschi del testo. Il fatto di fare interpretare il despota nichilista Hamm con la recitazione”napoletana” fortemente fisica di un ottimo Lello Arena in sgargiante vestaglia rossa è spiegato da regista come il messaggio beckettiano e la città partenopea siano legate dalla stessa “reazione ironica di fronte all’assoluto delle sofferenze della vita”. Buona anche la prova di Stefano Miglio nei panni di Clov di Gigi De Luca e Angela Pagano nei panni dei genitori imbucati nei bidoni. Funzionali le scene di Frederic Amat e le luci di Cesare Accetta.