Incontro Serena Sinigaglia il primo d’Aprile al Teatro Gobetti di Torino, luogo di prove insieme alle Fonderie Limone della 4° puntata di 6Bianca. Ho chiesto questo incontro per saperne qualcosa di più su questo progetto teatrale (“la prima opera seriale torinese”, recita la locandina), che ho molto apprezzato qualche settimana fa, e nella mia recensione terminavo dicendo di non vedere l’ora di assistere alla prossima puntata.
Debbo anticipare che non sapevo assolutamente nulla di questa regista, né l’età né la provenienza e neppure quali altre cose avesse già fatto. Mi ero fatto una mia immagine mentale: signora con tailleur, sui 50/60, modi gentili ma decisi, forse siciliana. La chiacchierata è avvenuta nel bar adiacente il teatro, approfittando della pausa pranzo. Mentre la aspettavo nel foyer, sentivo le voci degli attori che provavano e subito mi sono fatto l’idea di un clima tranquillo, rilassato e che chi dirigeva non aveva bisogno di alzare la voce. Sensazioni.
Poco dopo ci siamo incontrati ed ho capito che l’immagine creata in precedenza era sbagliata: Serena è una ragazza milanese del ’73, che si è diplomata in regia alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi nel 1996 a cui non daresti più di 30/35 anni, che crede molto in ciò che fa, ed anche solo a chiacchierare con uno sconosciuto ci mette dentro passione e generosità. Mette subito sul piatto la sua idea di teatro: ama le contaminazioni dei linguaggi ed è per l’abbattimento di tutte le frontiere con relative barriere nelle varie arti.
Le chiedo di parlarmi un po’ della sua storia, e dopo l’accenno alla coppia Vacis Dall’Aglio, docenti della Grassi che a suo dire hanno caratterizzato in modo positivo tutti coloro che li hanno avuti come insegnanti, mi racconta della sua realtà quotidiana. È regista stabile dal ’96 di ATIR (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca), finanziata dal Ministero – Dipartimento dello Spettacolo nel settore della ricerca teatrale, di cui è anche direttore artistico. Fa regie di Teatro e di Opere Liriche fra cui: Tosca alla Fenice, Carmen al festival di Macerata, ha collaborato in più occasioni al Piccolo di Milano. Spazia da Shakespeare ad Euripide portandosi dietro una formazione classica ma non disdegna drammaturgie contemporanee.
Come arrivi al progetto 6BIANCA? Da una chiamata dello stabile di Torino, Lorenza Barello e Barbara Ferrato a cui va l’onore di averci creduto da subito, mi hanno proposto il progetto già strutturato come seriale. Con la scuola Holden Stephen Amidon, l’ideatore della storia, coordina una classe con cui creare le 6 puntate, perché il testo non esisteva ancora. All’inizio non avevo mai visto nulla di seriale, ho iniziato con Breaking Bads e poi con House of Cards e da allora sono diventata dipendente di questo genere. Quando un progetto mi sembra avventuroso lo faccio, e questo mi é sembrato tale da subito. Il mio lavoro è iniziato con l’incontro con Stephen e quelli della Holden, dialoghi, plot e personaggi e parallelamente ho scelto gli attori, e dopo lunghe sessioni estraggo otto fantastici attori.
Chiedo perché non ha preso i suoi attori, con cui lavora di solito. La risposta è che ci deve essere libertà di scelta in amore e sul lavoro, perché altrimenti nel primo caso è asfissia e nel secondo sclerosi, e va bene anche il tradimento. E comunque, per fortuna, la sua compagnia sta lavorando. Finora sono arrivati i copioni delle prima 4 puntate, la 5° e la 6° le tengono in sospeso e verranno usati per queste ultime due rimandi del pubblico e degli attori.
Chiedo come opera in scena, se segue passo passo il testo oppure se stravolge. Il tempo a mia disposizione sta scadendo, ha finito di sbocconcellare il suo panino ed il bicchiere di vino è finito, deve andare. Mi risponde che ogni testo è sviluppato e cambiato in scena, a seconda delle esigenze, però mi invita ad andare ad assistere alle prove. Lo farò.
Mentre esco dal bar mi chiedo che cos’è che fa di un regista un bravo regista, forse il coraggio, l’altruismo, la fantasia e l’umiltà. Come i bravi giocatori di calcio.