“Sai come mi sento? Come una gatta sul tetto che scotta”. Chi non ricorda la celebre battuta di Elizabeth Taylor? Nel 1958 l’attrice fu protagonista insieme a Paul Newman de “La gatta sul tetto che scotta”, tratto dall’omonimo dramma teatrale scritto quattro anni prima dal drammaturgo statunitense Tennessee Williams. La Taylor interpretava Margaret, ovvero “Maggie la Gatta”, personaggio tra i più interessanti della drammaturgia di Williams. Quella battuta storica è pronunciata al teatro Diana di Napoli da una graffiante Vittoria Puccini nell’allestimento firmato da Arturo Cirillo. L’attore e regista stabiese sceglie di tornare a Williams dopo l’allestimento de “Lo zoo di vetro” proponendoci una versione lucida e raffinata.
La storia, che valse a Williams il secondo premio Pulitzer (il primo l’aveva vinto con “Un tram chiamato desiderio” anch’esso diventato un film), propone allo spettatore una molteplicità di temi: l’omosessualità, le ipocrisie e bugie all’interno del nucleo familiare che si sfalda scena dopo scena.
Vittoria Puccini (che applaudiamo al suo debutto teatrale) e Vinicio Marchioni sono Margaret e Brick, una coppia infelice, il loro matrimonio non ha generato figli e i due non dormono più insieme. Anzi Brick, ex sportivo, è sprofondato nell’incubo dell’alcol dopo la morte dell’amico e compagno di squadra Skipper, morto suicida. Ma tra Brick e Skipper vi era qualcosa di più di un’amicizia e alla “gatta” Maggie la loro intimità non era sfuggita. Dal canto suo Maggie ha conosciuto la povertà e ha guadagnato con il matrimonio un prestigio sociale a cui non vuole rinunciare, nonostante il matrimonio infelice e l’assenza di figli è sinceramente innamorata di un uomo che non la vuole più. Da quel tetto che scotta lei non vuole cadere.
In occasione di una festa di famiglia per festeggiare il compleanno del padre di Brick la coppia infelice si confronta con un’altra coppia, all’apparenza soddisfatta ma in realtà solo più meschina: Gooper, fratello di Brick, e la moglie Mae. I due sono intenti a strappare l’eredità del padre a sua insaputa malato di tumore. I personaggi si muovono in un interno colorato, dalle quinte i suoni della festa, grida di bambini ma anche rumori sinistri, un interno che sembra essere una trappola come la vita di coppia dei protagonisti. Tra i personaggi veri e propri duelli verbali in un crescendo di rivelazioni che catturano l’attenzione del pubblico fino al clou drammaturgico: il confronto tra Brick e suo padre.
Cirillo ci presenta una famiglia frantumata da dissidi e ipocrisie, senza allontanarsi dalla cifra stilistica di Williams e donandoci una coppia di attori convincenti. La Puccini è una gatta strisciante e nervosa, mentre Marchioni è un Brick intenso e sofferente, con una frattura fisica ed interiore. Lunghi applausi meritati.
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con
PAOLO MUSIO
FRANCA PENONE
SALVATORE CARUSO
CLIO CIPOLLETTA
FRANCESCO PETRUZZELLI
scene DARIO GESSATI
costumi GIANLUCA FALASCHI
luci PASQUALE MARI
musiche FRANCESCO DE MELIS